3 Marzo 2020
L'Indice

Smettiamola di essere tutte Jo March

di Gabriella Dal Lago


Nella vignetta uscita sul «The Guardian» a inizio gennaio, il fumettista e illustratore Tom Gauld propone la parodia del dialogo tra Jo March e il proprio editore a cui assistiamo in una delle scene del film di Greta Gerwig. La striscia, intitolata proprio «Jo March riceve alcuni consigli dal proprio editore», è divisa in tre riquadri: nel primo, un signore con la barba e gli occhialetti regge in mano il manoscritto di Piccole donne e asserisce «Se il personaggio principale è una ragazza, accertati che per la fine del libro sia sposata. O morta»; nel secondo riquadro, una ragazza con i capelli corti e un abbigliamento maschile alza il dito indice con una divertita aria di sfida chiedendo «O entrambe le cose?», mentre un baloon che proviene dalla direzione in cui sappiamo essere seduto l’editore riporta la risposta dell’uomo, un titubante «Ehm… certo». L’ultimo riquadro della striscia di Tom Gauld, privo di dialogo, raffigura il manoscritto da cui è stato cancellato con la penna rossa il titolo Piccole donne e sostituito con, sempre in rosso, la nuova alternativa L’attacco delle spose zombie

Rileggere i quattro libri di Piccole donne di Louisa May Alcott nel 2020, a parecchi anni di distanza dalle letture dell’infanzia, offre l’occasione di guardare da una nuova prospettiva un testo in cui solitamente si resta imbrigliati, attaccati a reminiscenze che si accompagnano a delusioni ancora brucianti e passioni non sopite per le avventure delle giovani sorelle March. Non solo: rileggere Piccole donne nel 2020, sull’onda di un discorso femminista che tocca cultura, letteratura, cinema, politica, diventa un modo per orientarci, per capire dove stiamo andando e da dove siamo partite. Soprattutto, ci interroga su come porci nei confronti di un classico della letteratura per ragazze che ha formato, in maniera radicale o anche solo tangenzialmente, moltissime generazioni. Il proposito è quello di affrontare la rilettura con una lanterna tra le mani che non ci porti a cercare qualcosa che nel libro non c’è, ma che ci porti a vedere con più chiarezza quello che nel libro c’è sempre stato, e che oggi guardiamo con occhi nuovi. 

L’adattamento cinematografico scritto e diretto da Greta Gerwig inizia con una Jo March adulta, alle prese con la propria scrittura e il tentativo di farne un mestiere, e procede poi con una serie di salti temporali che intrecciano tra loro Piccole donne e Piccole donne crescono. La figura di Jo March si sovrappone a quella di Louisa May Alcott (è quello che accade anche nella vignetta di Gauld, che cita appunto Gerwig): il film inizia e finisce con la prima copia data alle stampe di Piccole donne e firmato Jo March. Se la sovrapposizione tra la protagonista dei romanzi e la loro scrittrice è così esposta nella scelta di Gerwig, il gioco di specchi e di riflessi tra Jo e Louisa è una tensione essenziale all’interno dei quattro libri delle Piccole donne, tensione che viene resa ancora più evidente dalla lettura della biografia di Alcott scritta da Martha Saxton nel 1995, e pubblicata in Italia nel 2019. Jo incarna la battaglia di Louisa per diventare buona (aggettivo che più volte trova il sinonimo di “femminile” nelle dispute in casa Alcott), e che porta la protagonista del libro a quietare la propria irrequietezza e la scrittrice a coltivarla, a renderla radicale e mai davvero pacificata. 

Piccole donne è il romanzo della sorellanza ma è anche e soprattutto il romanzo di Jo March e della sua lotta per sentirsi bene nel corpo (e conseguentemente nel ruolo) in cui è nata: quello di una donna. «Non mi va per niente giù l’idea di dover crescere e diventare Miss March! È già una bella scocciatura essere donna, quando mi piace tutto quello che è riservato agli uomini, giochi, mestieri, modo di vivere. Non riesco proprio ad accettare di non essere un ragazzo», esclama Jo nelle prime pagine del romanzo. Se le altre sorelle March riescono a vedere davanti a loro un futuro che ha fatto pace con il loro essere donne nell’America vittoriana dell’Ottocento, Jo sa solo quello che non vuole: sposarsi, avere dei figli, seguire quel sentiero che vede così ben delineato di fronte a sé. Il circolo Picwick, in cui le sorelle March e Laurie giocano a fare i gentiluomini, è per Beth, Amy e Meg un passatempo, mentre per Jo diventa lo spazio in cui performare la parità dei generi. La visione di Jo, che non mette barriere tra sé e l’amico, è proprio ciò che porta Laurie a fraintendere i sentimenti della ragazza e a spingerlo a dichiararsi. Il rifiuto di Jo è quasi un’accusa di tradimento nei confronti di Laurie. «Ho solo una cosa da aggiungere: credo che non mi sposerò mai. Sono felice così, amo troppo la mia libertà per accettare la prospettiva di rinunciarci», dice Jo a Teddy. Jo vive in una società all’interno della quale non si sente adatta all’amore, perché amare significa accettare un insieme di regole e obblighi a cui la giovane March non vuole sottomettersi.
Nella raccolta di saggi di Jia Tolentino dal titolo Trick Mirror, ancora inedita in Italia, è incluso Pure Heroines, una riflessione sulla costruzione dell’identità femminile sulla base del confronto con le protagoniste della letteratura. Tolentino osserva che se le eroine dell’infanzia sono forti, resilienti, spesso ostinate e verbose, le eroine dell’adolescenza si dividono tra la disperazione e l’insulsaggine (tratto tipico delle eroine dei romanzi Young Adults), mentre quelle dell’età adulta sono frustrate, depresse e inclini al suicidio. In una triade esemplificativa: Jo March, le sorelle Lisbon de Il giardino delle vergini suicide, Emma Bovary. Le eroine dell’infanzia sono molto sovente dei “maschiacci”: non ancora sopraffatte dalla trasformazione del loro corpo in un oggetto sessualizzato, possono muoversi in una zona grigia, uno spazio in cui è loro concesso di immaginare un futuro di cui sono pienamente in controllo. Nel caso di Jo, un futuro da scrittrice in una città grande come New York. Quando la trasformazione da bambina a giovane donna si compie, quello spazio di libertà viene improvvisamente oscurato dalle aspettative e dal desiderio che il mondo proietta sui corpi (e conseguentemente sulle menti) delle eroine adolescenti: scrive Tolentino, «le eroine dell’infanzia mi avevano mostrato ciò che avrei voluto diventare, ma le eroine adolescenti mi avevano mostrato ciò che avevo paura di diventare – una donna la cui vita si sarebbe sviluppata attorno alla propria desiderabilità». Con l’adolescenza di Jo arriva la proposta di matrimonio di Laurie, che inizia a vederla come una donna. Nell’età adulta, le donne della letteratura affrontano le conseguenze del matrimonio e di una società che ha tracciato per loro un sentiero da seguire. Piccoli uomini e I ragazzi di Jo fotografano la vita delle Piccole donne diventate adulte. Mentre Piccoli uomini segue le storie degli studenti ospiti della scuola fondata da Jo con suo marito, il professor Bhaer, I ragazzi di Jo si colloca una decina di anni dopo questo terzo libro e racconta la crescita, il successo e le difficoltà degli studenti di Jo. I veri protagonisti di questi ultimi due libri sono Nat, Dan, Daisy, Demi e Nan, una nuova generazione di bambini. Gli adulti sono invece pallidi, molto diversi dalle figure che ci avevano appassionato nei primi due libri della serie: Laurie e Amy sono sposati e hanno dei figli; Meg e John Brooke vivono sereni con i loro bambini; i signori March sono sempre più sullo sfondo. La strenua opposizione al matrimonio e alla maternità di Jo si è trasformata in un matrimonio tranquillo con un professore tedesco più anziano di lei, e in una scuola in cui, oltre ad accudire i propri figli, è diventata la madre di un sacco di bambini presi sotto la sua ala.
Agli occhi di una lettrice, la Jo adulta si è macchiata di alto tradimento nei confronti dei propri sogni di bambina. Agli occhi di Louisa May Alcott, invece, Jo adulta è riuscita a trovare un equilibrio che si è tradotto nel trasformarsi da una piccola donna a una donna. A raccogliere il testimone dell’eroina dell’infanzia c’è Nan: bambina difficile da domare in Piccoli uomini, ne I ragazzi di Jo Nan è una brillante studentessa di medicina che rifiuta l’amore per dedicarsi solo alla propria professione. Jo, che frequenta un circolo femminile, ascolta con stupore le discussioni di quelle nuove piccole donne, e domanda «Ma se non vi sposerete, che cosa farete?», ricevendo come risposta «Oggi non si ride più delle zitelle come una volta, almeno da quando qualcuna di loro non è diventata famosa e ha chiaramente provato che la donna non è solo la dolce metà, ma un essere autonomo che può benissimo fare da sé». La titubanza di Jo, quella che la porta a confessare a Nan di chiedersi se le scelte che ha fatto non abbiano tradito la sua vera vocazione, è la titubanza di una donna che vede il mondo cambiare, diventare un po’ più simile a quello che avrebbe sperato per sé quando era una bambina che sognava di vivere da sola a New York in mezzo ai propri libri. 

È proprio in quella titubanza che possiamo cogliere l’invito con cui Tolentino chiude il proprio saggio sulle eroine dei romanzi: iniziare a guardarle non più come delle sorelle, delle pari, ma come delle madri, delle figure da cui discendiamo e a partire dalle quali abbiamo il compito di diventare qualcosa di diverso, di più nostro. Rileggere Piccole donne nel 2020 significa smettere di essere Jo March e trasformare Jo March in una madre: in attesa di essere noi le autrici di L’attacco delle spose zombie. 


(L’Indice, n. 3, marzo 2020)

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