di Clara Jourdan
A chi si sente scoraggiata o scoraggiato dalle difficoltà nel fare politica oggi, quando per esempio un presidente del consiglio si può permettere di dire di non andare a votare a un referendum popolare, consiglio la lettura del libro Suffragette (Castelvecchi 2015), da cui è stato tratto il film omonimo di Sarah Gavron (recensito in questo sito da Silvana Ferrari e da Laura Milani).
Suffragette, così anche nell’originale inglese che riprende la rivista The Suffragette, ha come sottotitolo La mia storia (My Own Story), ed è l’autobiografia politica di Emmeline Pankhurst (1858-1928) e del grande movimento femminista inglese che tra fine Ottocento e la prima guerra mondiale ha lottato per il voto alle donne, senza averlo ottenuto al momento in cui la scrittura del libro si conclude, nel 1914, quando «al primo allarme di guerra le militanti proclamarono una tregua». Un racconto «scritto sul campo della battaglia» (p. 213) che sorprende pagina dopo pagina con la storia di quella lotta coraggiosa e fantasiosa che ha coinvolto migliaia di donne e che ci viene presentata nei dettagli, nei suoi episodi a volte divertenti e più spesso duri ma sempre descritti con lucidità. Man mano che si procede nella lettura, si resta sempre più colpite dall’intelligenza, dall’inventiva e dalla tenacia con cui quelle donne combatterono per anni senza farsi demoralizzare dalla violenza e dalla irremovibilità maschile. Ma non è solo per questo che consiglio il libro, un gran bel libro davvero. Bello e interessante, anche per chi si occupa di diritto costituzionale inglese, grazie alla competenza con cui le militanti si muovevano nei confronti delle istituzioni.
Suffragette è ricco di elementi preziosi per la nostra riflessione politica di oggi. Impossibile rendere conto di tutti, il libro va letto, ne segnalo tre che mi hanno particolarmente sollecitata:
1- L’importanza delle relazioni tra donne di diverse generazioni, che qui si combina anche con la relazione madre-figlia. Tali relazioni, e in particolare quella tra Emmeline e la sua prima figlia, lei stessa diventata leader del movimento, sono state cruciali: «Un giorno Christabel mi stupì con una considerazione: “Da quant’è che voi donne tentate di ottenere il voto? per quanto mi riguarda, ho intenzione di prendermelo”. […] Io e le mie figlie ci impegnammo a cercare un modo di dar vita a quell’unione di giovane e vecchio che avrebbe suggerito metodi nuovi, indicato nuove strade. Alla fine fummo convinte di aver trovato quel modo» (p. 31). Nel 1903 decisero la separazione dagli uomini e dai partiti politici e fondarono la Women’s Social and Political Union (Wspu), una svolta verso quell’agire in prima persona e con forza che lo ha reso un movimento senza precedenti.
2- La questione delle pratiche di lotta. Nel libro si vede che è stata una questione attentamente studiata, anche riflettendo sui risultati ottenuti da altri movimenti storicamente vincenti. Da qui la convinzione della necessità di un crescendo di uso della forza man mano che i metodi adottati si dimostravano inefficaci: dai «mezzi costituzionali» (petizioni e delegazioni) al «metodo della persuasione» (disturbo dei candidati ai comizi), a «più aggressive forme di militanza» come «l’argomento delle pietre» (p. 143, per esempio rompere i vetri delle sedi dei ministeri), fino ad arrivare, nel 1913 (il periodo rappresentato nel film), alla «continua, distruttiva guerriglia contro il governo attraverso il danneggiamento della proprietà privata» (p. 186). Cose che stupiscono oggi, si sente una distanza culturale, ma queste donne differenti da noi che abbiamo fatto un altro percorso mi fanno capire una cosa molto importante per come pongono la questione, in termini di efficacia e di responsabilità, non di violenza o non violenza. Questo perché si tratta di donne: quando viene usata la violenza, è sempre e solo verso le cose, mai verso le persone, «stando comunque attente a non colpire nessuno» (p. 107). «La politica della Women’s Social and Political Union non è mai stata e mai sarà tanto incosciente da mettere in pericolo la vita umana. […] Non è il metodo delle donne» (p. 177). Possiamo dire allora che l’alternativa tra violenza e non violenza fa parte della questione maschile; infatti la non violenza è stata pensata per gli uomini, che ne hanno bisogno per non uccidere, ed è un errore assumerla da parte delle donne. La differenza sessuale va sempre considerata.
3- La valutazione dei risultati. Il voto veniva sempre rifiutato, ma il movimento continuava a crescere e si allargava il consenso popolare. Sembra incredibile che dopo tutti quegli insuccessi (la legge sul voto arriverà solo nel 1928) di una lotta costata grandi fatiche e sofferenze non si siano arrese ma anzi abbiano ogni volta rilanciato. In uno degli ultimi processi in cui era imputata, la Pankhurst spiega «alla giuria le ragioni per cui le donne avevano perso la fiducia nella legge e stavano conducendo questa lotta per diventare loro stesse promotrici di leggi. […] Siamo donne convinte che questo è l’unico modo che abbiamo per conquistare il potere di cambiare quelle che per noi sono condizioni intollerabili, condizioni assolutamente intollerabili» (pp. 194-195). Ma più ancora della determinazione di queste donne, colpisce la resistenza del «cieco e ostinato governo inglese» (p. 213) nel rifiutare loro il voto senza argomenti e con ripetute false promesse, e l’accanimento con straordinario dispendio di uomini e mezzi e leggi (come il “Cat and Mouse Act” appositamente concepito per loro) con cui perseguivano le militanti: «Come mai la sanguinaria militanza degli uomini viene applaudita [si riferisce ai ribelli dell’Ulster] e la simbolica militanza delle donne punita con la galera e l’orrore dell’alimentazione forzata?» (p. 179). Evidentemente c’era in gioco qualcosa di molto molto importante anche per gli uomini. Nel potere di legiferare, che oggi a un secolo di distanza e con l’esperienza di un’altra grande stagione femminista cominciata cinquant’anni dopo sappiamo essere importante ma non così decisivo per le donne, si concentrava infatti il simbolico del conflitto tra i sessi nel mondo moderno. Un conflitto che «la rivoluzione delle donne», come titola l’ultima parte del volume, ha portato a una vera rivoluzione nel rapporto tra i sessi nella vita pubblica. Una rivoluzione che quelle donne sentivano essere vincente, pur nella sconfitta delle battaglie e nei costi umani eccessivi. Lo si capisce dalla spregiudicatezza priva di illusioni con cui ragionavano sulle risposte da parte dei loro avversari, gli uomini del governo, che facevano di tutto per negare il voto ma ormai avevano paura, avevano perso la tranquilla sicurezza di essere nella loro secolare istituzione del tra uomini, diventata una roccaforte espugnabile. E lo si capisce dalla forte coscienza di sé e delle relazioni tra donne che si sviluppavano in questa lotta e che stavano portando un profondo cambiamento nella cultura e nella società, di cui un riflesso visibile era nelle ali di folla che accompagnavano, appoggiandole, le dimostrazioni del movimento, e nei giornali che raccontavano i fatti in modo sempre più favorevole alle donne.
Il libro si conclude con parole di fiducia nel futuro, e con ragione: quelle donne avevano cambiato la politica contemporanea, introducendovi la libertà e la forza femminili.
(www.libreriadelledonne.it, 21 aprile 2016)
22 Aprile 2016
www.libreriadelledonne.it