25 Gennaio 2011
il manifesto

“Tra sperimentazione e femminismo” di Alice Ceresa

Maria Grosso

Alice Ceresa rivendicava la sua scrittura difficile: «non mi risulta che le cose (e neanche quelle da capire) siano facili». In questo non ostentava erudizione, se pure avrebbe potuto permetterselo, considerato il suo sconfinato giardino di conoscenze, innaffiate fin dall’infanzia da una insopprimibile passione per lo studio. Quel «difficile» per lei atteneva piuttosto a una spietata consapevolezza della complessità dell’esistenza, a un’accettazione delle meraviglie e del dolore connessi alla ricerca intellettuale. «Difficile» voleva dire guardare negli occhi la sua responsabilità di scrittrice per arrendersi all’unico oggetto che per lei valesse la pena di essere indagato, anche a costo di girarci intorno tutta la vita, o di dare alle stampe un piccolissimo numero di opere (perché il punto non era il produrre ma l’infinito indagare).
L’argomento «è la posizione esistenziale dell’essere femminile configurato nell’urto fra la personalità privata e interiore di una donna moderna (che rifiuta di essere un “oggetto”…) e la tradizionalità di una società edificata intieramente al contrario di questa sua presa di coscienza». Così scriveva nelle note alla Figlia prodiga (Einaudi), opera che nel ’67 segna il suo esordio. Disegnava così («Occorre disegnare, per incominciare…»), un filo e insieme un rompicapo che nelle sue novecentesche e personalissime diramazioni – infanzia, femminismo, psicoanalisi, biologia, indagine sul linguaggio – avrebbe attraversato la sua esperienza letteraria, a comprendere La morte del padre (racconto uscito su «Nuovi Argomenti» nel ’79), Bambine (Einaudi 1990), a prefigurare Eloise, titolo provvisorio per un’opera cui lavorava al momento della scomparsa (2001), e Piccolo dizionario dell’inuguaglianza femminile, avviato negli anni 70, sempre rivisto e limato, ma dato alle stampe postumo (Nottetempo 2007).
Spingersi fino al nucleo vivo della biforcazione donna/società per Ceresa è però inseparabile dall’innescare una deflagrazione delle forme che lo alimentano: linguaggio e stile come baluardi falsamente neutri del potere patriarcale. («Ben sapendosi la pericolosità dei padri, che poi siano intelligenti o meno»). Da attenta captatrice dei fervori del suo tempo, risuona con il percorso sperimentale del Gruppo 63, pur cercando strade di autonomia e sprezzando i rischi della traversata (La figlia prodiga, che vincerà il Viareggio opera prima, è inizialmente lodato, ma giudicato «non pubblicabile» da Vittorini). No al romanzo, alla «presuntuosa» pretesa di continuità, a dialogo, intreccio, descrizione, alle menzogne della prosa che compiace. Sì alla struttura a vista – frammentare, sminuzzare, dissezionare come infrangere la crosta dell’ovvio, «distillare» come ossessivo protendersi verso la radice filosofica delle cose, scrittura come pittura (il modello in letteratura è Klee), «reinterpretare» come sforare dai confini, lei «nata già emigrata» (a Basilea nel ’23, poi vissuta a Roma dal ’50), bilingue tra la Svizzera italiana del padre e quella tedesca della madre, lei, raffinata traduttrice. Da questo terremoto stilistico, La figlia prodiga e Bambine emergono come sopravvissute senza nome, tanto più astratte e simili a ogni altra quanto più deprivate di qualunque legittima aspirazione all’unicità.
Con la forza bruciante di questo sguardo da entomologa, con «la sua voce, la sua intelligenza, la sua volontà», colloquia Alice Ceresa. La letteratura vive in caverne tappezzate di libri e molto raramente esce allo scoperto, un volumetto edito nel decennale della morte da Beatrice Fittipaldi, compagna di una vita, pittrice e curatrice delle opere di Ceresa, conservate all’Archivio della Biblioteca Nazionale di Berna. Intreccio vitale di scritti della stessa autrice (tra cui l’inedito Che cosa è una femminista), e di studiose come Tatiana Crivelli, Jacqueline Risset, Maria Paola Fiorensoli, di disegni (Marilù Eustachio), lettere (Calvino, Scialoja), poesie (Patrizia Cavalli), foto, testimonianze di quante oltre alla scrittura ne hanno respirato la presenza (Maria Rosa Cutrufelli, Giosetta Fioroni, Letizia Paolozzi, Patrizia Zappa Mulas), il libro – oggi alle 18.30 la presentazione alla Casa delle Letterature di Roma – acclude il dvd di Se tu sapessi (2004), documentario di Gianna Mazzini e Loredana Rotondo, andato in onda nella serie Rai «Vuoti di memoria». Qui appare l’ironia di Ceresa, la tenerezza schiva, il senso autocritico, la scelta di «stare nel cono d’ombra del proprio tempo», come nota Zappa Mulas. Ceresa che non scrive per le donne, non pensa a lettrici e lettori, scrive «perché va scritto». A chi la scopre o la riscopre, la sfida liberatoria del

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