Elisabetta Cicchi
Nel 1998 Einaudi pubblica con il titolo Trilogia della città di K tre racconti di Agota Kristof, Il Grande Quaderno, La Prova e La Terza Menzogna, i quali erano stati pubblicati per la prima volta da Seuil rispettivamente nel 1986, 1988 e 1991. L’autrice nasce in Ungheria nel 1930, nel 1956, anno della rivolta popolare e della conseguente violenta repressione sovietica, lascia la sua terra e si rifugia in Svizzera.
La Kristof sperimenta sia l’annichilimento e la scarnificazione della vita causati dalla guerra, sia il silenzio a cui è costretto uno straniero in una terra straniera; arriva in Svizzera senza sapere una parola di francese, vive lì muta e, quando inizia a parlare, la lingua che usa è per forza di cose semplice, sia nella sintassi che nel vocabolario. A mio giudizio, è proprio su questo suo vissuto che la Kristof costruisce la “trilogie des jumeaux”, come la chiama lei. Il primo racconto è costituito dalle pagine del Grande Quaderno nel quale i due bambini protagonisti, due gemelli lasciati in custodia presso la nonna durante la guerra, con l’intento di proseguire da autodidatti la propria istruzione, annotano tutto quello che succede loro. Non solo i due bambini decidono di scrivere per allenarsi alla “composizione” ma decidono di farlo secondo un criterio preciso, e cioè quello di: descrivere solo “quello che è, quello che vediamo, che udiamo, che facciamo” perché “le parole che definiscono i sentimenti sono molto vaghe; è meglio evitare di usarle e attenersi a una descrizione degli oggetti, degli esseri umani e di se stessi, e cioè alla descrizione fedele dei fatti.” È con questo stratagemma che l’autrice ci presenta la sua poetica e ci procura un testo asciutto e scarno, un testo autonomo, che sta tutto in se stesso, levigato e compatto come un sasso. La Trilogia della città di K è scarno e amorale, è violento come un pugno nello stomaco e complesso come un enigma. Questo libro, attraverso gli occhi di due bambini, testimonia del mondo in guerra, tanto disumanizzato e crudele ormai da aver reso ordinari gli eventi più mostruosi.