2 Novembre 2013
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Vita Cosentino, Tam tam, Nottetempo, Roma 2013

di Teresa Di Martino

E’ difficile recensire l’ultimo libro di Vita Cosentino, è difficile dire di un racconto così personale e quotidiano, di quello che accade dopo uno scontro violento tra una “lei” e un avversario invisibile, come lo definisce Luisa Muraro. Tam tam è la storia della protagonista, l’autrice, narrata in terza persona. Ma è una storia breve, gli ultimi due anni di vita, una vita del tutto nuova, che non è una nascita bensì una lotta per rimanere viva. E’ la storia di Vita dopo la malattia invalidante che l’ha colpita. Un racconto che vede protagonista lei, il marito e le sue amiche, compagne di vita e di militanza, ma che mette in primo piano il corpo, un corpo pesante, così ingombrante che le toglie anche le energie mentali: “Fatica a concentrarsi, comincia a leggere un libro e poi un altro e li lascia a metà. I progetti non hanno gambe per camminare e non ne vede più il senso” (p. 85). Partire da sè in questo caso non può ridursi a uno slogan femminista, si tratta non solo di ri-partire dal proprio corpo, ma anche di conoscerne i limiti e di prenderne le misure. Il problema non è solo non poter fare la vita di sempre – costantemente in giro, tra una riunione e l’altra, a quel convegno, a quell’assemblea, alla Libreria, a Verona – ma anche stare in piedi ai fornelli, andare a fare la spesa, un cinema, una mostra. Tutto diventa complicato: camminare, trovare luoghi senza barriere architettoniche, parcheggi coperti. Un limite che è anche una scoperta: Vita scopre il piacere di sedersi sulla panchina sotto casa e salutare il vicinato, la soddisfazione di lavorare con le mani (come da bambina), di sentirsi a casa in un bar dove la riconoscono. E’ come se questa faticosa ricerca di una misura nuova le aprisse un nuovo mondo, le svelasse anche i limiti di quel mondo che aveva sempre abitato. “Ha passato tanti anni in quella casa sempre correndo da un’altra parte […] La casa era in una specie di terra di nessuno. Così almeno la sentiva lei…” (pp. 97-98). Risuona. E mi chiedo: è davvero necessario che il corpo si fermi? Nelle riflessioni politiche con le mie compagne c’è sempre il desiderio di riappropriarsi di spazi e tempi che diano ascolto ad un corpo troppo spesso dimenticato, messo a tacere, trasportato di qua e di là. Lavoro, tempi frenetici, politica militante. Sì, ma c’è dell’altro. “Era sempre alla ricerca di qualcosa. Sì, ma cosa?” (p. 98). Una domanda a cui l’autrice non risponde, forse perché una risposta non c’è, forse perché ognuna ha la sua. Tam tam – un ritmo evocato e raccontato nel quotidiano – è una storia che destabilizza. Non è il racconto di un dolore – anche se se ne legge molto – ma è piuttosto la storia, semplice e complessa allo stesso tempo, di una lenta e paziente ricerca di sé, di un sé fatto di passato e presente, che prende le misure per “rifarsi una vita salvando quella di prima” (p. 11), lasciando spazio ai miracoli del quotidiano e alle scoperte di un nuovo modo di stare al mondo.

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