anonime

Cuoche ribelli

DeriveApprodi 2013

pp. 480 - € 20

 La nuova edizione in un unico volume di tre classici del nostro catalogo: a cavallo tra le scienze leccarde e la storia sociale, i tre diari di tre anonime protagoniste del Novecento.

La cucina impudica, La cuoca di Buenaventura Durruti, La cuoca rossa sono tre «diari», redatti rispettivamente a Parigi a cavallo tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso; a Barcellona durante la guerra civile spagnola; al Bauhaus tedesco durante la Repubblica di Weimar. Le autrici sono donne: una cocotte parigina, una militante anarchica della Colonna Durruti, un’allieva della scuola d’arte tedesca e membro di una cellula spartachista.
Nei tre «diari» le autrici restano anonime, pur rivelando molto altro della propria biografia, della propria cultura, della propria vita. Alternano aneddoti e ricordi; riferiscono di discussioni e pettegolezzi, di incontri amorosi e relazioni politiche, di balli mascherati e azioni di sabotaggio, di letture poetiche e lezioni sul colore, di vernissage e volantinaggi, di concerti mondani e scampagnate; passano al vaglio opere letterarie e teorie sociali; accennano a incontri con musicisti, pittori, scrittori, commediografi, registi, rivoluzionari di varia fama; e tra un tassello di vita e un altro trascrivono una ricetta.
Ed è appunto al genere del «ricettario» che appartiene la prosa delle tre cuoche. Un ricettario del Novecento europeo, che tra liste di ingredienti, metodi di cottura, salse, condimenti, laccature e guarnizioni parla la lingua dalla quale proviene: quella del desiderio di libertà e di godimento. Perché questo dimostrano i «diari» delle tre anonime: che il Novecento è stato anzitutto il secolo delle passioni prima che delle tragedie, del desiderio di vita prima che del totalitarismo, della creatività prima che della paura. Il secolo che ha rivendicato cibo per tutti e che, nello sfamare, ha da subito posto il problema del piacere.
Così, il filo rosso che annoda i tre testi non sta solo nella comune passione per un mondo senza servi che anima le autrici,  sta soprattutto nell’indicare che le radici di quel mondo sovvertito, che esse immaginano e per il quale lottano, affondano nella cultura materiale. Che non c’è libertà che non contempli quella dei sensi e le condizioni del godimento. E che non v’è alcun piacere, senza libertà.

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