Note, appunti, illuminazioni da un seminario al Centro Culturale Virginia Woolf 1982
“L’anno dell’ambiguo materno” è l’insieme di pensieri e riflessioni fatte da Alessandra Bocchetti durante il seminario che tenne nell’anno ’82-’83 al Centro Culturale Virginia Woolf di Roma. Il “Virginia Woolf”, fondato nel 1978 e attivo fino al 1996, fu uno dei luoghi più autorevoli del femminismo italiano. “Riattraversare la cultura, produrre politica e libertà femminile”, questo è quello che le donne facevano in quel luogo, cioè, a partire dalla loro esperienza, rileggere, salvare o rigettare quello che erano i pensieri, le filosofie, le interpretazioni, le scienze. Era lo spazio per eccellenza del pensiero critico femminile. A frequentarlo erano donne diversissime tra loro, questo è stato il miracolo. Iscritte allo stesso seminario potevano trovarsi, gomito a gomito, donne con tre lauree con donne che avevano solo la quinta elementare, un insieme magico che ha sempre portato dei grandi risultati. In comune: la passione del pensiero, la voglia di rispondere alla domanda “Che cosa è una donna” solo con la propria testa, fare pulizia dei pregiudizi, sentirsi pensare insieme ed essere audaci. A partire dall’anno ’82/’83 venne introdotto il tema unico, una ipotesi di ricerca comune per i vari seminari. Il primo fu appunto “L’ambiguo materno”. “Il tema dell’ambiguità del ‘materno’, inteso come amore, come passione e insieme come un modo di stare al mondo, la nostra adorata Virginia Woolf l’aveva messo a tema a suo tempo, invitandoci noi tutte figlie, prima che madri, alla complicità criminale; perché con gesto niente affatto irresponsabile, noi figlie uccidessimo la madre -quella madre ‘angelo del focolare’ che contribuiva giorno dopo giorno a creare il padre e il figlio e il fratello. Perché questo aveva capito Virginia; e cioè, quello che sempre diceva mia madre, rievocando un luogo comune, che senz’altro a lei aveva tramandato sua madre: “ci vuole una donna per fare un uomo.” Cioè a dire, le nostre madri erano state complici nel coltivare una certa idea di ‘uomo’. E una certa idea di mondo. Ma si poteva, acquistando coscienza della nostra potenza, ‘cambiare’: cambiare il mondo, cambiare gli uomini – figli, padri, compagni. Smettere di sentirsi vittime, smettere di obbedire – noi lo stavamo facendo.” (dalla prefazione di Nadia Fusini).