Una perdita irrimediabile è l’innesco silenzioso che provoca in chi racconta una nuova forma di devozione: la cucina – intesa non come distrazione, ma come applicazione e dedizione. La cucina come nutrimento per il corpo e per la mente. Una passione silenziosa per procedere nella vita quando si fa troppo salata. Una serie di gesti che ristabiliscono un legame con la realtà che sfugge.
Dopo avere per caso incrociato il destino della vecchia trattoria milanese del Ponte Rosso, Stefania Giannotti abbandona la sua professione di architetta per percorrere una nuova strada e farsi cuoca. Davanti ai fuochi e girando fra i tavoli si ricostituisce, con i ragazzi che lavorano e i clienti più affezionati, una strana famiglia che diviene anche una sorta di rifugio e di protezione. E dalla trattoria si separa solo quando sente di aver portato a compimento il suo percorso, di poter guardare indietro, perché “il combattimento chiede un termine per fare posto a poca serenità e a tanto altro di grande”. Di poter augurare buona continuazione agli amici e a tutti quanti, in verità, si dispongono a stare, consapevoli, nella vita.
Con padronanza di stile Giannotti dà respiro a una scrittura avvolgente, mai impressionistica, capace di calamitare le sue molte esperienze di vita, di intervallarle a ricette gustosissime – pause narrative e a propria volta esse stesse narrazione –, e di fondere in una sola trama lo strazio della perdita e il gusto dolce di esistere.
Troppo sale è un memoir, ma anche un libro di meditazione e riflessione, ma anche un manualetto di cucina, ma anche un libro sul dolore. Stefania Giannotti ha cercato chi aveva perso nel tempo che ha dedicato alla cucina, alla ristorazione, agli amici. E non ha smesso di trovarlo. Perché in questa autobiografia si racconta di come cucinare può diventare, in forza di concentrazione e gioia, un modo diverso di stare al mondo.
Gira e rigira sono sempre in un instabile equilibrio. O in cucina.