VD 90: Pina Bausch

Fabrizia Ramondino

Il testo che segue l’ha scritto Fabrizia Ramondino, scomparsa quasi esattamente un anno prima della grande coreografa. La scrittrice napoletana ha avuto modo di conoscerla da vicino perché sua figlia negli anni ’80 studiava danza alla Folkwangschule di Essen Werden in Germania, diretta da Pina Bausch, e in seguito ha danzato nel suo Tanztheater Wuppertal. Il ricordo è tratto dal Taccuino tedesco (La Tartaruga, 1987) nel quale la Ramondino racconta due suoi soggiorni in Germania, il primo dal 1954 al 1957, il secondo tra il 1983 e il 1986.

Due mi sembrano le principali caratteristiche originali della Bausch: la ricerca della verità, che non esiterei a definire sapienziale, e la tenerezza.
Lo rivelano il tipo di domande che pone agli interpreti durante le prove e il suo atteggiamento, quando osserva gli allievi della scuola: la testa reclina da un lato, gli occhi incavati straordinariamente attenti, con una luce di chi conosce il dolore e la vittoria su di esso, l’impercettibile sorriso delle labbra, le mani sottili che sanno tenere con fermezza le cose e lasciarle con leggerezza, prive di ogni affettazione, anche nel mignolo, sua sede privilegiata; tutto l’atteggiamento sembra concentrato nello sforzo di cogliere l’altro nella sua verità, non per disprezzarla o negarla, ma per comprendere se quei corpi contengano già una perla segreta o saranno mai capaci di secernerla, una volta feriti dall’acuminata lama della passione artistica. Anche nei suoi spettacoli, pure così attenti alla durezza nelle relazioni fra gli uomini, fra gli uomini e le donne, fra gli uomini e le cose, fiorisce la tenerezza, colta anche nel suo impercettibile albore, come un piccolo fiore appena dischiuso nascosto da erbe infestanti. Essa non è mai sdolcinatezza o sentimentalismo; fra le asprezze espressioniste del suo universo poetico acquista un valore tanto più raro; e quando arriva a quel grado, perde ogni connotazione tradizionale di tenerezza femminile per diventare simile alla cura materna verso la vita propria di alcuni grandi poeti; penso in particolare a Saba e a Machado.
Se si assiste alla preparazione dei suoi spettacoli, si avverte che la sua ricerca somiglia a un’antica quête (la quête degli antichi cavalieri era viaggio e domanda) e ogni risultato raggiunto è solo la tappa di una ricerca (una interrogatio) che non avrà mai fine.
Non a caso la preparazione di ogni spettacolo inizia con una serie di quesiti che la Bausch rivolge agli interpreti, non a uno in particolare, a tutti, ella stessa compresa, e forse anche a qualcuno di invisibile, che è lì nella stessa stanza: “ / Quando si dice merda? / Frasi che contengono la parola Dio / Usare la parola madre / La piccola felicità / Qualcosa come nuotare senza acqua / Avere paura di qualcuno / Provare a ballare senza gambe /  Accennare con l’indice un piccolo movimento di dnaza / Interompere wuslcos, rompere qualcosa… qualcosa finisce. Che cos’è? Che si fa, come finisce il finire? / Che aspetto ha il niente? / Farsi male, perché tutto fa schifo / —“
Sono centinaia di quesitit ai quali gli interpreti devono provare a rispondere con un movimento di danza, un gesto, una frase. Ella annota tutte le risposte. Chiede spesso di ottenere qualcosa di semplice. Solo nell’ultima fase quest’immenso materiale espressivo viene ordinato in forma chiusa, vengono scartate le risposte inadeguate, anche quelle buone, che si useranno poi in un altro contesto. Accade dopo settimane che un interprete si senta chiedere di rifare un movimento che magari aveva già dimenticato. Spesso il tipo di domande, come le ultime della serie che ho citato, turbano o rattristano gli interpreti. Ma Pina dice: “Lo si cerca per distruggerlo. Cerco proprio il contrario quando chiedo cose del genere. Tu non devi ammalarti per questo, al contrario…”:
Colpisce in questo metodo che spesso Pina chiede ai ballerini-attori di utilizzare al minimo i loro grandi mezzi tecnici – così, se il sapere sostiene la poesia, nel vero atto poetico bisogna dimenticarlo, peché nel vuoto che si crea irrompa un altro sapere. E in ogni spettacolo di Pina si intravvede la trama del pieno e del vuoto, si aprono fessure di pensosità persino nelle più smaglianti fantasmagorie.

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