29 Settembre 2015
#VD3

Sull’accoglienza ai migranti

di Giuliana Giulietti

 

Mi sono molto piaciute le immagini festose dei rifugiati siriani accolti in Germania; immagini che mi hanno fatto un gran bene perché riportavano sulla scena pubblica – e contro le immagini di violenza, disperazione, morte cui siamo da anni abituate/i – e incarnate nei volti sorridenti di donne e uomini e bimbe e bimbi la solidarietà umana, la speranza e, credo, la bontà.

Leggendo le riflessioni di “Una che c’è”, mi rendo conto che il mio sentimento di accoglienza convive con un altro sentimento forse più forte: il disorientamento o spaesamento che vivo nella mia città così profondamente mutata per l’arrivo di migranti africani, slavi, spagnoli. Nel giro di pochi anni Livorno, che è un porto e storicamente un luogo che accoglie, mi è diventata quasi estranea. Non vi è più niente di familiare, non la riconosco più. Per le strade, sugli autobus, al mercato tutto è cambiato: i volti delle persone, i negozianti, i modi di fare e di dire. Ed è come svanita la lingua che conoscevo (anche la lingua del saluto, dello scherzo che sentivo per strada); sono svaniti i suoni in cui sono cresciuta sopraffatti da altre lingue e suoni. Non dico che questo sia negativo, mi disorienta però. Una volta confessai il mio disagio ad amiche e amici e fui severamente criticata. Il multietnico – dicevano – l’incontro fra culture diverse è una ricchezza. Tutte sciocchezze, secondo me. Le relazioni con queste e questi che vengono da altri paesi non sono spontanee, né facili, ci sono diffidenze reciproche da superare e in genere i migranti tendono a fare gruppo tra di loro, secondo il paese di provenienza. Io penso che per costruire relazioni siano necessari non solo i luoghi adatti – ad esempio le scuole dove si incontrano bimbe e bimbi e madri e padri di nazionalità diverse e dove una misura o concretezza della relazione è possibile – ma anche un modo nuovo di amministrare le città che tenga conto e sappia guidare il cambiamento in atto. E dei conflitti che esso genera e che non sono pochi. È nella sfera pubblica, nelle pratiche politiche che vive la capacità di accoglienza. Sono grandi problemi quelli posti dalla migrazione, e c’è molto da discutere e da pensare. È un cambio di civiltà quello che stiamo vivendo, c’è un passaggio da un modo di stare al mondo a un altro, e di questo passaggio sono parte il mio desiderio di accoglienza e il mio disorientamento.

 

Giuliana Giulietti

(Via Dogana 3, 23 settembre 2015)

 

 

Cara G.G.,

la Una che c’è ti dirà quello che pensa del tuo messaggio. Noi, a parte, interveniamo per chiederti: ma ti sembra che questo che dici possa bastare? Dici: è nella sfera pubblica che vive l’accoglienza. Nella sfera
pubblica ci sei anche tu, ci siamo anche noi, ci sono le donne, in generale!
Non hai un’idea, una proposta, un esempio da portare?

 

La redazione di VD3

 

RISPOSTA di Giuliana Giulietti

 

Certo che quello che dico non basta posso però portare un esempio. Da 17 anni al Centro Donna di Livorno un gruppo di insegnanti dell’associazione “Ci sia acqua ai due lati” è in relazione con donne migranti alle quali insegnano l’italiano. Per alcuni anni si trattava per lo più di donne africane, negli ultimi anni le migranti-allieve sono invece badanti slave. Gli incontri avvengono il giovedì perché è il loro giorno di libertà. Ci sono poi momenti di festa, ad esempio in occasione dell’otto marzo, in cui le migranti recitano le loro poesie, cantano le loro canzoni, insegnano le loro ricette di cucina.  Uno dei frutti di questa esperienza è un libro di testimonianze e narrazioni, “Voci di donna. Da un luogo all’altro.” Giovanna Papucci, che gestisce il Centro Donna, mi segnala però un problema. Siccome l’obiettivo prioritario delle migranti è un titolo di studio (la terza media in genere) che non possono ottenere frequentando le lezioni al Centro, la maggior parte di loro preferisce seguire i corsi per migranti istituiti in una scuola media cittadina. Considerando il poco tempo libero che le badanti slave hanno per sé, la ricerca di un diploma e la necessità di rivolgersi altrove, rischia di interrompere la loro relazione con le insegnanti di ” Ci sia acqua ai due lati”. Si tratta dunque – secondo Giovanna – di cercare una soluzione per il riconoscimento dei corsi tenuti al Centro Donna. Io non sono personalmente coinvolta in questa esperienza di accoglienza e di relazione con le donne migranti, ma l’esempio mi sembra buono. Giuliana Giulietti

(Via Dogana 3, 29 settembre 2015)

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