di Franca Fortunato
«In questo mondo scosso ogni giorno più profondamente dai fremiti della fine vicina, fra nuovi terrori e speranze mi accadde di incontrare Lorenzo (…), un operaio civile italiano. Mi portò un pezzo di pane e gli avanzi del suo rancio ogni giorno per sei mesi; mi donò una maglia piena di toppe; scrisse per me in Italia una cartolina, e mi fece avere la risposta. Per tutto questo, non chiese né accettò alcun compenso, perché era buono e semplice, e non pensava che si dovesse fare il bene per un compenso (…). Io credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza, con il suo modo così piano e facile di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro, qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e non selvaggio, estraneo all’odio e alla paura; qualcosa di assai mal definibile, una remota possibilità di bene, per cui tuttavia metteva conto di conservarsi», così scrisse Primo Levi nel suo libro autobiografico Se questo è un uomo. La storia si sa non si ripete mai la stessa, ma se si ha mente e cuore per guardare non si può non vedere come le immagini – più eloquenti di tante parole, anche di queste che io stessa posso qui scrivere – di migliaia di uomini, donne, bambine e bambini, in fila a Belgrado sotto la neve per un piatto caldo, avvolti in una coperta per difendersi dal gelo e dal freddo, ci riportino a quel mondo, a quell’Europa crudele e disumana che portò Primo Levi a dire «Se questo è un uomo». Se questo è un uomo, se questa è una donna, un bambino e una bambina, se questa è l’Europa, che toglie dignità a ogni essere umano, allora non resta che seppellirla nella vergogna e nella colpa. Ma per fortunata, oggi come allora tante e tanti sono i Lorenzo che con il loro agire e le loro pratiche di accoglienza e di umanità ricordano a noi e a loro che un altro mondo, un’altra Europa – come abbiamo testimoniato al convegno “L’Europa delle Città Vicine” tenuto il 21 febbraio 2016 a Roma alla Casa Internazionale delle donne e di cui in questi giorni saranno pubblicati gli atti – c’è già, incomincia già a esistere e se non sarà questa a prevalere non ci sarà futuro né per i migranti né per noi. Di questa altra Europa fanno parte Medici Senza Frontiere e i tanti volontari anche italiani dell’associazione internazionale Hot food Idomeni che a Belgrado, dove le temperature in questi giorni sono arrivate a meno 22 gradi, da mesi aiutano, soccorrono e sostengono, garantendo cure e 2.000 pasti al giorno, le migliaia di migranti, siriani, afghani, pachistani, curdi, iracheni che aspettano di passare le frontiere e proseguire il loro viaggio verso il nord Europa. E nell’attesa c’è chi – come la giovane somala e due uomini iracheni – al confine tra la Turchia e la Bulgaria e tra la Bulgaria e la Serbia letteralmente muore congelato, dopo aver attraversato spesso in condizioni proibitive – come hanno denunciato Medici Senza Frontiere – montagne innevate, foreste, in mano ai trafficanti di uomini e dopo aver subito spesso alle frontiere lesioni e gravi contusioni come conseguenza dell’uso di spray al pepe e dissuasori elettrici. Ferite provocate dalle varie polizie di frontiera (incluso Frontex) lungo il percorso. Purtroppo nemmeno i bambini sono stati risparmiati. La situazione è drammatica anche a Lesbo, a Samo e a Salonicco dove nei campi manca luce, riscaldamento e le tubature sono gelate. Sono tutte queste conseguenze vergognose delle politiche europee, volte a dissuadere e respingere persone in cerca di sicurezza e protezione in Europa. Le immagini di questi giorni, su cui c’è un’indifferenza colpevole della maggior parte dei mass media del nostro Paese dove fa più notizia un’intervista a un ex presidente del Consiglio bocciato dalla maggioranza del popolo italiano, stanno lì a dirci che il passato può tornare anche se in veste diversa. «Ci accalchiamo e ci stringiamo intorno a un falò per tremare di meno. Ma il tutto dura poco, non più di un paio d’ore. Il resto del tempo lo passiamo nel gelo assoluto», ha detto Asif, un 18enne afghano. «Fa molto freddo e dai fuochi si sprigiona un’aria irrespirabile. Tossiamo in continuazione, ma non abbiamo dove altro andare. Io non voglio tornare indietro. Voglio andare in Ungheria e da lì in Italia. Ma non posso rimanere qui al gelo. È terribile. In tanti si ammalano e gli aiuti non arrivano» ha detto Kaship Hans, anche lui afghano. Sono parole che più di altre suonano come una condanna per questa Europa dal volto duro, dominata dal potere tecnocratico economico che con le sue politiche in questi anni ha impoverito i popoli europei e che adesso ha condannato i migranti alla morte e al gelo. Questa Europa crudele e senz’anima a distruggersi ci sta pensando da sola. La sua fine, che io mi auguro avvenga presto, non sarà la fine dell’Europa perché al di fuori di essa esiste «un mondo giusto», «qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e non selvaggio, estraneo all’odio e alla paura», che ad Auschwitz per Primo Levi è stato Lorenzo, non a caso un operaio civile italiano. Tra qualche giorno sarà la Giornata della Memoria, per favore niente ipocrisie, niente retorica, niente discorsi, niente commemorazioni ma solo silenzio per pensare… pensare… pensare a come e a chi ha rinnegato e tradito quel «Mai più»…
(Il Quotidiano del Sud, 19 gennaio 2017)