17 Gennaio 2014
Donne Chiesa Mondo - L'Osservatore Romano

Amore in presa diretta

L’incontro impremeditato con Hadewych e la mistica femminile ·

09 dicembre 2013

di Romana Guarnieri

Un incontro impremeditato, legato al caso, questo mio con Hadewych. Un incontro che poi mi ha familiarizzata con tanto pensiero e tanta mistica femminile, di tutti i tempi e luoghi, dalla Porete (con relativa indagine a livello europeo sull’eresia prequietista del Libero Spirito) a Chiara da Montefalco, da Angela da Foligno alla Paluzzi, sino ad Adrienne von Speyr e i suoi intriganti misteri, nelle quali via via sono inciampata, e che hanno in vario modo segnato i miei studi, la mia riflessione, e, con le molte amicizie di studio e di fede, la mia stessa esistenza.

Da noi, all’epoca della mia inchiesta, Hadewych era ignota sin nel nome. Fu un incontro a dir poco folgorante. L’indagine in sé mi avvinse: per la prima volta m’impegnavo in una ricerca di spiritualità medievale direttamente su manoscritti/incunaboli/cinquecentine, di cui, data la mia formazione letteraria tutta moderna, non avevo fatto mai prima esperienza.

Estasi o folgorazione, tutt’altro da quello con Ruusbroec, fu dunque il mio impatto con Hadewych. Neppure l’ombra in lei della savia trattatistica normativa, che pretende metter ordine e dettar regole in una realtà così segreta e sfuggente, così imprendibile e imprevedibile qual è — insieme alla poesia e alla preghiera — l’amore: ogni amore, non ultimo l’amor di Dio.

No, nulla nell’amore drammatico cantato da Hadewych, di quella caricatura antica che ancor oggi ci vien presentata da alcuni “accompagnatori” — spariti dal mercato i “direttori spirituali” — come una cosa di tutta pace, rettilinea, quasi idilliaca, con i suoi “passi” ovvero “gradi” rassicuranti, numerati secondo sequenze simboliche, meglio se ternarie — ma anche il numero 7 è sempre andato forte! — e con le sue “stazioni”, obbligate, riscoperte dai nuovissimi ricercatori del santo Graal; soprattutto con le proprie “tecniche’’ (per non dir trucchi, infallibili come i “fiori di Bach”), le quali, purché docilmente seguite secondo prescrizioni/ricette di “maestri” vanesii ci metterebbero al riparo da errori fatali, nella corsa a ostacoli che è la vita di noi poveretti, destinati — anzi predestinati — senza quei loro presidii a romperci l’osso del collo nella folle impresa.

No, se Dio vuole! Nulla di tutto ciò in Hadewych, neanche quando consiglia imperiosa o si confida con vera tenerezza con le sue amiche.

Hadewych è l’amore in presa diretta. Amore capriccioso, come ogni amore di donna. Amore non teorizzato — ovvero calato dalla mente al cuore — bensì vissuto nella sua totale gratuità e sconcertante imprevedibilità e immediatezza, senza mediazioni né controlli, e per questo sospetto agli inquisitori che, dopo averle ucciso — nel 1236 — un’amica, «per via del suo “giusto” (“diritto”?) amore» la costrinsero alla macchia. È l’amore/desiderio, caro alla poesia cortese e alle mistiche del Due-Trecento, centrale nella riflessione moderna, da Hegel a Heidegger, sino a Lévinas.

Un amore solitario, insoddisfatto, possessivo nonostante l’affetto per le destinatarie delle sue lettere e la volontà di condividerlo con le molte persone autorevoli con cui è in relazione. Un amore trepido ma fermissimo. Battagliero, impaziente. Fierissimo, pronto a subire ogni ingiustizia e persecuzione. Un amore detto e ridetto con furia, intrattabile e intollerante nel rimprovero all’Amato, drammaticamente gridato in mille modi diversi, nel dolore come nella gioia, sempre nel giro strettissimo, drammaticamente incisivo, di pochi versi di una stessa poesia: violento, audace, insaziabile amore che la brucia nel midollo dell’anima, lasciandola inappagata, a volte addirittura distrutta dal disgusto di vivere.

Un amore insicuro, come ogni vero amore geloso, che non sopporta rivali; prepotente, assillante, non dà tregua a chi lo vive e a chi ne è oggetto. E tuttavia da esibire come esemplare, capace di coinvolgere il mondo intero, a patto però di restare unico, solus cum sola, se no son guai. L’amore che ha soggiogato Hadewych è pazzia, e inferno. Slancio e ardimento. Totalmente disinteressato, si offre in nudità totale.

Questo è Hadewych. Inquieta e inquietante. Modernissima. Questo e altro ancora. Troppo da poterlo dire in una semplice prefazione, senza infastidire il lettore emunctae naris, che le cose davvero importanti ama scoprirle da sé.

E la cosiddetta “storia”, ovvero “dottrina”? E la cronaca, la teologia, letteratura, cultura? Cose bellissime, intelligentissime; curiosità legittime, certo, persino nobili, non dico di no. Ma insomma… Su Hadewych e il suo mistero, studia e studia, siamo tuttora a un pugno di notizie, incerte le più, sfuggenti, balbettate e subito smentite, e a induzioni/deduzioni che non soddisfano chi ama muoversi sullo “storicamente assodato”. Hadewych è tutta nei suoi scritti. A noi, farla vivere ancora.

Quanto a me, ristampo immodificate — ormai cancellate da decenni di distrazione dalla memoria, affidata a fragile carta stampata, frammento di storia anche loro — le introduzioni che accompagnarono queste mie antiche versioni, uscite semiclandestine, tra il 1947 e il 1950, come una rispettabile “novità” ne «I Fuochi».

La preziosa collana («lucciole fosforescenti e campestri» li definì il loro ideatore-direttore, scrivendone ad Antonio Baldini nel 1952), da poco creata per la Morcelliana di Brescia da don Giuseppe De Luca, fu una delle sue ultime fatiche editoriali extra moenia: le Edizioni di Storia e Letteratura erano ormai nate e ben presto finirono per divorarselo tutto.

Anche in quell’occasione, con la sua nota generosità e competenza, a me principiante egli resse la mano, tanto nelle versioni che nelle introduzioni, sì che a lui va ancora una volta il mio grazie a distanza di tanti anni. Fummo in molti — giovani meno giovani, sino a un Papini di molti anni più vecchio di lui — a beneficiare in questo modo della sua ricchezza intellettuale e spirituale, generosa senza limiti: pagine e pagine, a volte capitoli interi di libri altrui, non c’è da sbagliare, sono di sua mano (v. il capitolo di chiusura dell’Agostino di Papini o l’introduzione ai loro Scrittori cattolici Italiani) e sarebbe ora che anche di questo aspetto di lui, prete segreto nella cultura del nostro secolo, si prendesse coscienza e conoscenza. Dopotutto, di uomini, di preti così ne ho incontrati pochi, anzi nessuno.

di Romana Guarnieri

 

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