29 Dicembre 2020
il manifesto

Anna Vanzan, islamologa innamorata dell’Iran

di Farian Sabahi


«In mezzo a mille impedimenti, le nuove generazioni dell’Iran stanno producendo una cultura raffinata e cosmopolitica saldamente ancorata alla storia locale. Cerchiamo allora di guardare più in là, in questo momento storico difficilissimo, quando sull’agenda internazionale si ripropone il conflitto tra Stati Uniti e Iran. L’odio nei riguardi dell’Iran rischia di portarci tutti sull’orlo del baratro. Quanto a me, posso solo continuare a diffondere la cultura di questo straordinario paese, che amo come fosse il mio. Il mio luogo preferito è Tehran. Conosco già le obiezioni: è inquinata, caotica, cresciuta senza un piano regolatore. È brutta, ma io sono innamorata e gli innamorati, si sa, sono irrazionali». Così scriveva Anna Vanzan nel suo Diario persiano. Viaggio sentimentale in Iran.

Iranista e islamologa, Anna è mancata la vigilia di Natale, a 65 anni, dopo una lunga malattia. Laureata in Lingue Orientali a Ca’ Foscari, aveva conseguito il dottorato alla New York University con Peter Chelkowski, lavorando sul diario della principessa persiana Taj al-Saltana. Si occupava di problematiche di genere nei paesi islamici, in molti dei quali aveva svolto ricerca. Tra le sue monografie, Le donne di Allah. Viaggio nei femminismi islamici e Figlie di Shahrazad. Traduttrice di letteratura persiana contemporanea, nel 2017 aveva ricevuto dal Ministero della Cultura il premio alla carriera per opera traduttiva e diffusione della cultura persiana in Italia. Sue le traduzioni dei bestseller La civetta cieca, Suvashun e Mio zio Napoleone. Leggere sarà un modo per ricordarla. In questi decenni Anna aveva insegnato a contratto in diversi atenei senza diventare di ruolo. Quest’anno era titolare del corso Culture as Mediation a Ca’ Foscari. Un altro buon modo per ricordarla potrebbe essere una borsa di ricerca in suo nome.


(il manifesto, 29/12/2020)

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