Intervento di Franca Chiaromente e Fulvia Bandoli con alcune osservazioni di Giovanna Grignaffini.
Sul sito del blog di Paestum si possono trovare gli altri interventi
Franca Chiaromonte ed io da qualche anno non facevamo un intervento congiunto ma la vostra iniziativa ci stimola a farlo. Che il desiderio di molte donne si indirizzi verso la politica fatta anche dentro i partiti o nelle istituzioni di ogni ordine e grado ci pare un dato difficilmente contestabile e in aumento. Lo abbiamo registrato nelle scorse elezioni amministrative, lo vediamo oggi nell’imminenza del rinnovo del parlamento. Noi non pensiamo che questo dato sia tale per merito della battaglia puramente paritaria e rivendicativa del 50 e 50 o per la introduzione delle quote. Noi pensiamo che ad alimentare questo desiderio abbia contribuito prima di tutto la riflessione del femminismo sulla libertà femminile, e in maniera diversa la norma antidiscriminatoria contenuta nell’art 51 della Costituzione, una modifica che era stata fortemente voluta due legislature fa da alcune donne parlamentari e che aveva visto impegnate oltre ad Elena Montecchi come relatrice anche Elettra Deiana e la stessa Franca.
Diverse donne che hanno fatto o fanno questa scelta provano ad entrare con il loro nome e cognome, con la loro storia di libertà, con le loro relazioni e con le loro pratiche. Non tutte direte voi ed è vero perché tante, troppe, si appoggiano ancora agli uomini o si fanno scegliere dagli uomini e dentro logiche prettamente di potere o sulla base di un malinteso principio di rappresentanza, tante entrando in quei luoghi abbandonano le loro relazioni femminili precedenti, e altre ancora si mettono a difesa di un uomo perché pensano di essere così più vicine al potere. Ma molte altre non hanno agito così. Molte hanno considerato il potere come Hanna Arendt lo definiva e cioè “ il potere che viene dalla conoscenza e dal sapere, quello che genera un poter fare e un poter dire, un agire collettivo e relazionale”.
Noi non crediamo che entrare in questi luoghi significhi legittimare con la propria presenza sedi screditate e in crisi così come lo starne fuori non significa di per sé esercitare una pratica o una critica efficace di quei luoghi, del resto la democrazia c’è e non c’è in tutti i luoghi se è per questo e noi crediamo che essa non sia solo la democrazia diretta quanto piuttosto un mix fatto di diversi momenti e sedi. Ci piace pensare che diverse delle donne che entrano seguendo il loro desiderio si sentano in grado di potere agire su questa crisi. Franca ed io sicuramente così ci siamo sentite e ci siamo condotte. Donne libere, in relazione tra loro che sanno mantenere salde le loro pratiche dentro e fuori da quei luoghi possono farlo. Insomma se ci si arriva attraverso un percorso di relazioni femminili ma soprattutto se si riesce ad agire anche in quei luoghi la propria libertà e la forza delle proprie relazioni si possono mettere in atto pratiche diremmo quasi sovvertitrici dell’ordine e della visione maschile del potere, perché la dimensione simbolica di quei luoghi nessuno può negarla. Non è facile, ma nulla è mai stato facile per una donna.
Franca ed io siamo due donne femministe, lei storica ma da quando è entrata in parlamento un po’ meno… io ,diciamo così, sempre in attesa di piena legittimazione. Due donne con una forte passione per la politica. Convinte tutte e due che una donna, se libera, possa fare politica bene, meglio di un uomo si sarebbe detto un tempo, ma oggi è quasi una ovvietà viste le prestazioni maschili in materia. Franca sostiene infatti che per gli uomini oggi sarebbe il tempo del silenzio, di dedicarsi al lavoro di cura per imparare cose che non sanno, ai lavori idraulici o ad aprire le portiere delle macchine quando scendiamo e di portarci, se vogliono, mazzi di fiori. Un modo ironico per dire che il conflitto che va aperto con gli uomini è più forte che mai e si gioca proprio sull’idea e sulla pratica del potere, per dire che le donne possono fare politica senza appoggiarsi agli uomini e che la politica può appartenere pienamente, perchè già in parte appartiene, a molte donne.
La nostra relazione politica nasce nel ’91 e si consolida nel ’94 quando entrambe entriamo in Parlamento, per nostro desiderio e facendo affidamento reciproco sulla nostra forza politica personale guadagnata nel tempo con le nostre battaglie, le mie nell’ambientalismo e nel gruppo dirigente del partito, le sue dentro il movimento delle donne, nel suo giornale e anche dentro il partito. Io avevo rifiutato la candidatura nel ’76, e nelle due legislature successive… nel ’94 quando decido di accettare lo faccio perché mi pareva fosse arrivato il tempo di misurarmi anche con la possibilità e la necessità’ di fare leggi sugli argomenti che avevo affrontato per decenni nel mio territorio, nelle associazioni, in consiglio provinciale e come responsabile nazionale ambiente. Per Franca il percorso è diverso ma l’esito è lo stesso, dal giornalismo politico di primo piano e dai gruppi femministi alla politica fatta in prima persona. L’esperienza dentro il partito, agita con altre donne nel fare la quarta mozione al congresso di scioglimento del Pci, una tipica mossa del cavallo che segnò con la sua pratica direi prettamente femminista tutta la discussione nelle sezioni, l’aiuta a dare forma a questo suo desiderio, così come la spinge una sorta di debito o di sfida rispetto all’agire politico e istituzionale di suo padre, un uomo che dialogava alla pari con le donne e soprattutto con lei e che ne accettava l’autorità.
Per noi due la distinzione rigida tra “politica prima e seconda” fatta da una parte del femminismo non era convincente. Entrambe sapevamo di avere fatto la prima e la seconda per molti anni e ne avevamo colto i molti punti di contatto e anche le differenze. Ci convinceva invece molto di più quello che Lia Cigarini scrisse nel suo testo “La politica del desiderio” e cioè che “il diritto femminile – che è per uomini e donne – non lo possiamo scrivere nella Libreria delle donne, per produrre pensiero sessuato bisogna stare nel luogo in cui il tuo desiderio di essere giurista si scontra con delle contraddizioni…” Più chiaro di così non si potrebbe dire e vale allo stesso modo per la politica. Se è vero come ha detto Muraro che le donne stanno meglio, ma il mondo va peggio, allora era ed è tempo che donne libere e in relazione tra loro mettano ancora di più mano al mondo. E la politica mette mano al mondo e alla vita .
Per questo noi due che siamo state per oltre trenta anni dentro un partito anche in ruoli di rilevanza nazionale e che quattordici di questi trenta li abbiamo vissuti dentro il parlamento senza mai perdere, noi riteniamo, le nostre relazioni e le nostre pratiche, vorremmo tentare di rispondere ad alcune delle domande che stanno alla base dell’incontro di oggi.
Una delle domande che che più ci intriga è quella relativa a cosa ne è della pratica del femminismo nei luoghi istituzionali e dove si decide… una domanda retorica naturalmente da parte di chi la fa, perché pare quasi scontata la risposta: la pratica del femminismo in quei luoghi non sarebbe possibile. Noi riteniamo non sia così.
La nostra relazione parte con un affidamento reciproco anche se io sono molto più di sinistra rispetto a lei o lei è molto più di destra. Ma comprendiamo subito che questa differenza è la prima che dobbiamo mettere in valore,così che nessuno possa pensare che io e lei siamo in relazione perché affini politicamente. Io e lei siamo in relazione perché siamo due donne libere che vogliono darsi forza a vicenda e praticare dentro il partito e nel parlamento una tipica relazione duale capace di allargarsi ad altre donne e di confliggere con gli uomini. Ci siamo riuscite sempre? Difficile dire sì… o meglio, io e lei siamo riuscite sempre a mantenere quella pratica, l’allargamento ad altre e il conflitto invece spesso ci sono stati, a volte meno.
E qui entra in gioco un’altra delle domande cruciale, quella che attiene la forza della presenza femminile. Noi due abbiamo visto e misurato la nostra forza tante volte, da sole o in relazione con altre, nel riuscire a proporre leggi significative anche se molto diverse tra loro (la norma antidiscriminatoria che è la prima ad avere intaccato, in un’ottica non paritaria, lo spazio maschile; la discussione sulla legge sulla violenza sessuale che portò nelle aule del parlamento il dibattito che avveniva nel femminismo e che si concretizzò con il voto di astensione di alcune donne oltre a noi due; il dibattito sulla Costituzione che Franca riusciì a trasferire dal Virginia Woolf alla commissione affari Costituzionali della Camera per molti mesi, ma anche molte altre leggi che parlano a donne e uomini, la nuova normativa sui rifiuti, la legge contro l abusivismo edilizio, la legge per il riassetto idrogeologico del territorio, quella sui parchi, e sull’energia; la nuova normativa sui diritti degli animali che nacque unicamente da un impegno di un gruppo di donne (noi due, Chiara Acciarini e Giovanna Grignaffini) e che poi si allargò anche a uomini, fino a diventare legge dello Stato. Non senza conflitti, non senza stravaganti iniziative, come quella di svolgere a Botteghe Oscure una riunione con qualche centinaia di persone accompagnate dai loro animali e conclusa da un Massimo D’Alema stralunato, perché convinto solo con la forza dei numeri, quegli oltre 13 milioni di italiani che vivevano e vivono con animali domestici e che erano sensibili a questo tema. Ma anche sui temi della scuola e della cultura molti furono i provvedimenti che partirono da Grignaffini e da Acciarini, unitamente ai finanziamenti ottenuti per i Centri e le Associazioni culturali delle donne. Così come segnò una novità sostanziale l’aver portato per la prima volta dentro la Camera ad un convegno tutte le Associazioni delle prostitute, che fu l’ inizio di una discussione sulla sessualità maschile in una sede che mai aveva affrontato quel tema perché si preferiva discutere delle prostitute e del come difendersi da loro piuttosto che dei loro numerosissimi clienti. Così come fu stabile e forte il legame con le donne di Vicenza durante tutto il periodo che le vide impegnate nella loro battaglia contro la nuova base militare e che diverse di noi (Deiana, Zanella, Silvana Pisa) seppero riportare con autorevolezza nelle aule parlamentari e anche all’estero. E molto altro potremmo dire.
Ma sappiamo bene che per dimostrare la propria forza politica e simbolica servono anche altri segnali, più difficili da costruire in quelle sedi. Ma alcuni riuscimmo a darli: siamo certe per esempio che quando parlavamo in aula c’era un guadagno di autorità femminile evidente perché sapevamo farlo su qualsiasi tema, Franca inoltre è stata in assoluto la parlamentare più impegnata sui temi dello stato di diritto, e sul 41/bis e sulla carcerazione preventiva sia io che lei abbiamo preso posizioni spesso impopolari ma che la stampa quasi sempre presentava con attenzione e rispetto.
Io sono stata l’unico intervento critico in aula e sulla stampa rispetto alla formazione del governo D’Alema appoggiato da Cossiga, dopo la caduta di Prodi, quando si preferì non andare al voto. E dopo diversi anni mi ha fatto piacere che molti commentatori politici abbiano valutato nei loro scritti e nei loro libri come un serio errore politico della sinistra quel passaggio, che portò per la prima volta un uomo che veniva della sinistra comunista a guidare un governo senza il voto degli italiani. Due donne libere in relazione tra loro e con altre e con una forte pratica comune possono fare molto. Ma la forza di ogni donna dentro quei luoghi è una forza che si costruisce sapendo che non va lasciata alcuna zona franca agli uomini, il conflitto che noi abbiamo agito nel gruppo dirigente del nostro partito su molte importanti vicende e riportato in parlamento ha fatto sì che ci fosse riconosciuta l’autorità di poter parlare su ogni singola piccola o grande questione politica. Un modo io credo per essere una donna che fa politica e leggi per donne e uomini, ma con pratiche e relazioni sostanzialmente diverse da quelle maschili. Anche i tentativi più o meno riusciti come furono prima il gruppo di X-file (formato solo da donne) che si proponeva semplicemente di mettere a tema argomenti importanti (ricordo per tutti la giornata di dibattito e riflessione sul lavoro e sui suoi cambiamenti) e poi la creazione della associazione Emily in Italia che aveva come scopo la formazione delle donne che intendevano impegnarsi nei vari livelli istituzionali (dai Comuni al Parlamento) furono esperienze significative, difficili e anche controverse, ma che si muovevano sempre dentro lo stesso solco… la pratica tra donne. Questo elenco (per alcune noioso) perché spesso ci avete chiesto di dar conto e questo è un sintetico modo per farlo.
Per finire vorremmo arrivare ad una conclusione. Non ci pare giusto considerare a priori inefficace l’impegno delle donne che scelgono di fare politica nei partiti e nelle istituzioni nazionali ed efficace invece quello che si svolge nei quartieri, nei comuni , nelle regioni, nelle università o nei sindacati. Non può essere questo il criterio. Anche perché spesso passiamo da un luogo all’altro, torniamo ai luoghi originari per ripartire ancora, non siamo sempre ferme sullo stesso pezzo. Se la misura sono le pratiche, le relazioni, la forza e la capacità di spostare simbolico e di agire conflitti è sulla base di queste cose che va valutata ogni singola donna con il suo nome e cognome e con la sua storia. L’unica critica seria che ci sentiamo di accettare è che non sempre siamo riuscite a trasmettere bene all’esterno ciò che facevamo, perché avrebbe avuto ancora maggiore forza. Anche noi abbiamo trascurato a volte il confronto con il femminismo. Ma anche il femminismo ci ha un po’ trascurate… come se, avendo scelto di muoverci nel “territorio del diavolo”, fossimo sempre a rischio di bruciatura. Detto che conta molto il modo con il quale arrivi a quella scelta, che è importante che a portarti dentro quei luoghi siano la tua libertà e la tua forza unita a quella di altre donne (e non il gioco degli uomini), detto che non puoi averne nessuna in più e che sarai travolta se perdi il legame con le pratiche e le relazioni che hai avuto prima di accettare quella sfida difficile… detto tutto questo che non è poco, anzi diremmo noi è la radice che deve restare viva… detto questo, Franca pensa che si debba sempre aprire un credito a qualsiasi donna, starle accanto, pretendere relazione e verificare insieme l’esito del suo lavoro. E io concordo con lei. Ci siamo mosse nei luoghi istituzionali attraverso la pratica del femminismo? Noi non abbiamo mai avuto alcun dubbio sulla risposta e dunque a chi ce lo chiede rispondiamo che si può fare!