8 Marzo 2014
ilmanifesto.it

Audre Lorde, da Harlem ai Caraibi

di Alessandra Pigliaru

 

E’ breve istante che è oggi / nel sogno mi turba una sel­vag­gia spe­ranza / ché ho sen­tito sus­sur­rare / della vita su altre stelle. È il 1950 e una gio­va­nis­sima Audre Lorde, allora sedi­cenne, si misura con i primi espe­ri­menti poe­tici. Ancora quella ragazza non aveva coscienza che il suo nome sarebbe stato ricor­dato come una delle più impor­tanti pen­sa­trici e poete del Nove­cento. Dieci libri di poe­sie, e molti altri tra prosa, scritti critico-politici insieme a inter­vi­ste pre­ziose, ci con­se­gnano — a quat­tor­dici anni dalla sua scom­parsa — una figura dalla lin­gua severa e ada­man­tina vocata ad un pre­ciso senso poli­tico prin­ci­pal­mente rivolto alle donne, sorelle, spesso amanti e com­pa­gne di militanza.

Nata ad Har­lem, ha vis­suto a New York da dove poi si è spo­stata in Mes­sico, Gua­te­mala e Ber­lino per deci­dere di tra­scor­rere i suoi ultimi anni nell’isola carai­bica di Saint Croix. Nella sua vita di poeta nera fem­mi­ni­sta madre lesbica guer­riera – come lei stessa amava pre­sen­tarsi – il suo sguardo non ha mai abban­do­nato il carat­tere inter­na­zio­na­li­sta. Ma la geo­gra­fia per­corsa da Lorde è stata anche la con­vin­zione che il pen­sare potesse cor­ri­spon­dere con il sen­tire. E che quella con­sa­pe­vo­lezza fosse capace di spri­gio­nare una dif­fe­renza crea­tiva e costi­tu­tiva che avrebbe potuto spo­stare le donne, in par­ti­co­lare nere, dall’oppressione. Alcuni dei suoi fram­menti poe­tici come quello sopra­ci­tato sono stati ripor­tati dalla stessa autrice nell’82 all’interno di Zami. A New Spel­ling of My Name, di cui la tra­du­zione ita­liana di Gra­zia Dica­nio verrà pub­bli­cata a mag­gio a cura di Liana Bor­ghi per le edi­zioni ETS di Pisa. Il libro si inti­to­lerà appunto Zami. Così riscrivo il mio nome ed è una «biomitografia».

Si tratta infatti del tra­gitto di Lorde attra­verso la pro­pria infan­zia e ado­le­scenza, ma anche di una scrit­tura in cui la scan­sione cro­no­lo­gica degli eventi si iden­ti­fica nel posi­zio­na­mento rivo­lu­zio­na­rio che si apre e si chiude nella sco­perta della rela­zio­na­lità tra donne. Zami è sia il nome Car­ria­cou che Lorde sce­glie per indi­care donne che vivono insieme come ami­che e spesso amanti, e anche il radi­ca­mento irri­nun­cia­bile nella cul­tura nera indoa­me­ri­cana nella quale lei per prima rico­no­sce il primo anti­doto con­tro la dop­pia arro­ganza patriarcale.

La sto­ria qui si ferma alla fine degli anni Cin­quanta, cogliendo i pro­dromi di ciò che ha signi­fi­cato per lei l’attraversamento di alcuni acca­di­menti fon­danti. Dalla stessa Grande Depres­sione di cui la pic­cola Audre cono­sce solo i river­beri ad Har­lem, fino alla seconda Guerra mon­diale e il mac­car­ti­smo, alcune espe­rienze che saranno diri­menti nella sua vita assu­mono già il valore di una cono­scenza sia mate­riale che sim­bo­lica. La vio­lenza e la discri­mi­na­zione verso la cul­tura nera, le rivolte raz­ziali del ’43, l’omofobia e il ses­si­smo, ma anche e soprat­tutto la costru­zione di un’identità mobile. Lorde stu­dia, scrive di notte, affronta la povertà e si man­tiene con lavori da infer­miera, ope­raia e biblio­te­ca­ria. Impara così a nomi­nare il mondo e le cose che lo com­pon­gono. E la sua lin­gua, che esplora da subito poe­ti­ca­mente insieme a gruppi sco­la­stici e poi sepa­ra­ti­sti, è già politica.

Ma Zami è anche la sco­perta del pro­prio corpo e le sue mesco­lanze sen­so­riali ed ero­ti­che fino alla matu­ra­zione di una col­lo­ca­zione poli­tica defi­nita «casa della dif­fe­renza». Qui un’anticipazione della tra­du­zione tratta da Zami: «Mia madre era una donna dav­vero potente. E lo era in un periodo in cui la com­bi­na­zione di parole donna e potente era quasi impro­nun­cia­bile e ine­spri­mi­bile nella lin­gua comune bianca ame­ri­cana, tranne o pur­ché affian­cata da qual­che aber­rante agget­tivo espli­ca­tivo come cieca, gobba, o pazza, o nera. Per­ciò men­tre cre­scevo, donna potente equi­va­leva a qual­cosa di molto diverso da donna ordi­na­ria, dal sem­plice ’donna’. D’altro canto di certo non equi­va­leva a ’uomo’. Allora cos’era? Qual era la terza defi­ni­zione? Da bam­bina ho sem­pre saputo che mia madre era diversa dalle altre donne, nere o bian­che. Cre­devo che fosse per­ché era mia madre. Ma diversa come? Non ne sono mai stata sicura. C’erano altre donne delle Indie occi­den­tali in giro, molte nel nostro vici­nato e in chiesa. C’erano anche tante donne nere con la pelle chiara come la sua, in par­ti­co­lare fra le donne della parte bassa dell’isola. Le chia­ma­vano ossi­rossi mulatte (Red­bone). Diversa come? Non l’ho mai saputo. Ma per que­sto credo ancora oggi che ci siano sem­pre state lesbi­che nere – nel senso di donne potenti e orien­tate verso le donne – che sareb­bero morte piut­to­sto di usare quel nome per defi­nirsi. Mia madre inclusa».

In que­sto clima vivace va accolta con altret­tanto inte­resse un’altra prima e imper­di­bile tra­du­zione ita­liana, a cura di Mar­ghe­rita Gia­co­bino e Marta Gia­nello Guida, che ugual­mente verrà pub­bli­cata a mag­gio. Si tratta di Sorella Outsi­der. I saggi poli­tici di Audre Lorde, per le edi­zioni Il Dito e la Luna. Una miscel­la­nea cor­posa e coe­rente che com­prende le tre rac­colte: The Can­cer Jour­nals (1980), Sister Outsi­der (1984) e A Burst of Light (1988). Sono com­presi inter­venti a con­ve­gni, arti­coli e brani di dia­rio, que­sti ultimi segnati soprat­tutto dalla sua vicenda con il can­cro. E ci sono anche due inter­vi­ste, una in par­ti­co­lare lunga e impor­tante con Adrienne Rich. Il volume è auto­fi­nan­ziato ed è stato atti­vato un fund-raising al quale si può par­te­ci­pare visi­tando lo spa­zio http://​sorel​laou​tsi​der​.blog​spot​.it. Il pro­getto edi­to­riale, desi­de­rato tra le altre dalle donne dell’Altra Mar­tedì, Cir­colo lgbt Mau­rice di Torino, ha avuto già un buon riscon­tro nelle varie pre­sen­ta­zioni a Cagliari, Bre­scia, Milano, Trento, Bolo­gna, Fer­rara, Reg­gio Emi­lia e Roma.

Entrambe le tra­du­zioni si dispon­gono in uno sfondo di atten­zione poli­tica intorno ad Audre Lorde che in Ita­lia è cor­ro­bo­rata dal cer­chio com­pe­tente e amo­roso di espe­rienze poli­ti­che dis­se­mi­nate anche su web. Per citarne alcune, si pensi al blog Mar­gi­na­lia di Vin­cenza Perilli, al col­let­tivo Mfla per le fre­quenze di radio Onda Rossa, o al lavoro instan­ca­bile di Fuo­ri­campo Lesbian Group. Pro­prio quest’ultimo, che dal 17 al 21 set­tem­bre di quest’anno dedi­cherà Some Pre­fer Cake, Bolo­gna Lesbian Film Festi­val, alla figura di Lorde, ha orga­niz­zato nel 2006 a Bolo­gna il primo con­ve­gno inter­na­zio­nale inte­ra­mente dedi­cato all’opera e al pen­siero della fem­mi­ni­sta carai­bica in cui si sono potute con­fron­tare stu­diose, ami­che e com­pa­gne di atti­vi­smo di Lorde pro­ve­nienti da tutto il mondo; tra le altre, pre­sente anche la regi­sta Dag­mar Schultz alla quale dob­biamo il bel docu­men­ta­rio del 2012 Audre Lorde — The Ber­lin Years 1984 to 1992.

Come ricorda Lorde in Sorella Outsi­der, oggi più che mai occorre «impa­rare a fare delle nostre dif­fe­renze una forza. Per­ché gli stru­menti del padrone non sman­tel­le­ranno mai la casa del padrone». Biso­gna capire dun­que che «la forza delle donne sta nel rico­no­scere che le dif­fe­renze tra noi sono crea­tive». E c’è anche da augu­rarsi che qual­che edi­tore intel­li­gente possa prima o poi mostrare inte­resse per la tra­du­zione ita­liana delle opere poe­ti­che di Audre Lorde, così pre­ziose che si stenta a cre­dere non sia ancora acca­duto. «La poe­sia» infatti «non è un lusso. È una neces­sità vitale della nostra esi­stenza. La poe­sia ci dà modo di nomi­nare ciò che non ha nome, così da poterlo pen­sare. Fino ai più lon­tani oriz­zonti, le nostre spe­ranze e paure sono lastri­cate di poe­sia, tagliata nella roc­cia delle nostre vite quo­ti­diane». Per­ché «i padri bian­chi ci hanno detto: penso, dun­que sono. La madre nera den­tro di noi – la poeta – ci sus­surra in sogno: sento, dun­que posso essere libera».

Una pro­fonda pen­sa­trice e poeta come Audre Lorde può rac­con­tarci di quel sogno di gran­dezza, che passa dal ritmo della lin­gua alla coscienza crea­tiva e poli­tica della libertà.

 

(ilmanifesto.it, 8 marzo 2014)

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