di Luciana Tavernini
Il potere, ci ha ricordato Dominijanni, tende a consolidarsi e a cercare di occupare tutta la scena mentre l’autorità consiste nel produrre una trasformazione continua di sé e dell’altra/o in modo relazionale, quindi è mutevole e quasi invisibile.
Quali possono essere i modi per mostrare le pratiche di autorità perché non si creda che tutto il vivente sia occupato dal potere e perché cresca autorità femminile nel mondo?
Innanzi tutto ho imparato a riconoscere i passaggi che rendono possibili alcuni miei successi e trovare forme contestuali per raccontarli. Il mio desiderio è legato al fare al meglio quello che è necessario sia fatto da me, mettendo in gioco quello che so fare e sviluppando quello che potrei fare. Si rafforza l’impegno e le mediazioni per realizzare quel progetto condiviso perché lo considero parte del progetto più grande del cambio di civiltà. Lo penso come occasione perché le relazioni che via via si intrecciano facciano crescere la mia libertà generativa e quella di altre coinvolte (o anche altri). Oso proporre ma non impongo a chi lavora con me quello che ritengo più opportuno, motivo le mie proposte e cerco soprattutto condivisione e possibilità per ciascuna di dare il meglio di sé. Sto indietro se l’altra è più adatta, non cerco che appaia tutto quello che faccio per la buona riuscita. In questa fase sono importanti i riconoscimenti verbali e scritti, duali e nel gruppo di lavoro, offerti e ricevuti, in cui nominiamo ciò che ciascuna vede del contributo dell’altra. Quando il progetto è realizzato rimane la ricchezza della relazione e rimane aperta la possibilità di proporci l’una all’altra nuove occasioni.
Quando un’altra (o un altro) mi fa complimenti per la buona riuscita, racconto i passaggi che l’hanno resa possibile perché non creda sia frutto di straordinarie doti personali ma veda cammini percorribili. Graziella Bernabò mi è stata maestra di consapevolezza con i suoi racconti sui modi sempre attenti e relazionali con cui lei ha creato le biografie di Antonia Pozzi ed Elsa Morante e i molti incontri prima e dopo su queste due scrittrici.
Se una si rivolge a me per una pratica di scrittura in relazione è perché interessa a entrambe che il testo riesca a dire il nuovo che lei cerca di dire e che venga reso pubblico. In questi casi offro le mie osservazioni, prima e durante la scrittura, sia su ciò che risuona in me e su ciò che mi è oscuro, sia su come è espresso, incrociando il tutto con le mie esperienze di vita. La premessa è sempre: io sarò sincera, tu chiedi se non ti convinco ma poi sei libera di trasformare il testo in modo che corrisponda alla tua verità.
E questo è ciò che cerco anche quando mi confronto su quello che sto scrivendo.
Il modo con cui rendere visibile la scrittura in relazione varia: dalla doppia firma ai ringraziamenti con una frase precisa nei libri, a una nota, a un inciso nel testo, a un discorso in pubblico, a un riconoscimento in un piccolo gruppo o temporaneamente tra noi due, forme che rendono viva e visibile la circolarità del dono di origine materna (Genevieve Vaughan) e aperta la possibilità di nuovi scambi anche con altre, facendo crescere, in questo caso, l’autorità autoriale femminile.
(Via Dogana 3, www.libreriadelledonne.it, 28 aprile 2021)