26 Giugno 2013
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Autorità, Luisa Muraro

di Ilaria Durigon

 

Più che una definizione dell’autorità, ciò che si troverà nel nuovo libro di Luisa Muraro (Autorità, Rosenberg & Sellier 2013) è una spinta a interrogarsi su di essa. Si tratta di un invito a pensarla, a prenderne in considerazione origine e conseguenze.

Definire l’autorità appare un compito assai arduo, forse impossibile, se per ‘definizione’ si intende la determinazione di confini netti, un contenuto preciso, la comprensione razionale e definitiva di un senso. L’essenza ‘mistica’ dell’autorità, il suo essere né razionale né irrazionale, il suo poter essere percepita solo mediante ‘il settimo senso’, lo impedisce. L’impossibilità di una definizione compiuta si accompagna alla necessità di continuare ad interrogarsi su di essa, sul dove si possa rintracciarla. Pur nella sua natura sfuggente è possibile cogliere nell’autorità, nelle sue diverse manifestazioni, alcuni aspetti, ovvero gettare un po’ di luce su questa idea che se, per sua natura, illumina di senso, “come la luce sulla pagina che desideriamo leggere”, dall’altro sembra appartenere più alla sfera dell’oscurità.

L’autorità non è fondata ed è fondante: essa è principio di sé ed è principio di qualcosa di altro da sé. Di cosa sarebbe fondamento l’autorità oltre che di se stessa? Essa, ci dice Muraro, è il fattore simbolico di ogni ordine sociale. Principio di ordine quindi. L’autorità è ciò che fornisce di senso l’ordine sociale e lo fa in quanto fattore simbolico, fattore quindi che trascende quell’ordine e che, trascendendolo, lo fonda. Come può l’autorità diventare un principio di ‘ordine’? Come si realizza l’ordine dell’autorità, da dove parte? Per poterlo comprendere è necessario porre una distinzione tra l’ordine che trova il suo cardine nell’autorità, e quello che trova origine nel potere. Mentre quest’ultimo si realizza e si conserva con la forza, con un’imposizione e una coercizione che si danno interamente sul piano dell’immanenza, in ogni angolo del sistema di potere, l’ordine dell’autorità si realizza con la libertà, con un riconoscimento libero. L’autorità trova il suo posto al di là dell’ordine, al di fuori di esso e agisce come un punto di riferimento esterno.

In secondo luogo l’ordine dell’autorità è diverso da quello del potere anche per il modo in cui sorge e si sviluppa. L’ordine dell’autorità ha il suo inizio nella relazione. In essa l’autorità si manifesta realizzandosi come una disparità che non coincide con la gerarchia. L’autorità, ci dice Muraro, si dà nella relazione, e si mostra come ciò che permette, all’interno della dinamica della relazione, una mediazione tra elementi dispari. Nel concetto di mediazione è racchiuso il senso dell’antitesi alla gerarchia: a differenza di questa, la mediazione non coincide con l’agire dell’uno e del patire dell’altro degli elementi in gioco, ma è piuttosto il luogo di un incontro tra due ‘agenti’, ugualmente liberi, ma ‘differenti’. Nell’incontro di due agenti ciò che si realizza è uno scambio. Per spiegare ciò che viene scambiato Muraro ricorre all’immagine della madre, primo esempio dell’autorità. Nell’autorità che agisce nel rapporto madre-figlio c’è uno scambio, c’è reciprocità. Cosa scambiano il figlio e la madre? La madre insegna al figlio a parlare. E il figlio? Il figlio, che riconosce l’autorità della madre, impara a parlare e parla. In ciò sussiste lo scambio: uno scambio di parole che si realizza tra un insegnare e un imparare.

Se l’autorità è un nominare, il suo presupposto è però che ci sia anche qualcuno che impara quel nominare e lo riproduce. Autorità è quindi la possibilità stessa della comunicazione umana, del mettere in circolo delle parole, dei ‘nomi’ che mentre creano relazioni sociali, ordinano il mondo. Il nominare è in fondo niente altro che un ordinare, è il creare un ordine fondato sulla comunicazione, sul ‘rendere-comune’. L’autorità sembra così essere il vero principio della possibilità dello stare insieme: il ‘saper parlare’ da un lato e il comprendere ciò che ci viene detto, ossia la comunicazione, è l’elemento primo di ogni relazione.

L’‘insegnare-a-parlare’ dell’autorità coinvolge, oltre a quello dell’ordine, un altro aspetto: quello della libertà. Chi insegna a parlare rende libero chi impara, lo rende autonomo. Conseguenza dell’autorità è quindi la libertà. Libertà, come abbiamo visto sopra, è anche il presupposto dell’autorità perché questa non esiste se non per mezzo di un atto di riconoscimento non forzato. In quanto presupposto e conseguenza, la libertà diventa il vero motore dell’autorità, ciò che la fa nascere, ciò che la fa ‘realizzare’. Anche l’autorità però agisce sulla libertà, essendo per suo mezzo che questa diventa un fattore dinamico: l’autorità mette in circolo la libertà che ne è origine e seguito. L’ordine creato dall’autorità è quindi un ordine che trova nella libertà il suo vero motore, che sopravvive grazie alla libertà, che si struttura su di essa, e che muore se questa viene a mancare. Potremmo definire l’autorità l’altra faccia della libertà, se per questa non si intende la libertà dell’individualismo ma quella che si dà solo a partire dalla relazione, ovvero da due in su.

Concludo con questa bella citazione dal libro:

“Propongo di combattere il circolo della forza con la forza simbolica dell’autorità che, senza essere in sé buona o cattiva, è orientata in senso relazionale, ammette il consenso libero e contende al potere il terreno della scommessa politica. Intendo la grande scommessa che riguarda la condizione umana e le esigenze più pressanti fra le quali, per un essere umano, dopo il cibo e la casa, c’è anche un minimo di giustizia e di verità” ( p. 59).

 

(femminile plurale, 26 giugno 2013)

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