Silvio Messinetti
La composizione delle liste in Calabria (ma anche in Toscana e Piemonte) sta diventando una vera via crucis per Sinistra ecologia e libertà.
Due anni fa Nichi Vendola si recò a Cosenza per un comizio elettorale. Era piuttosto irato quel giorno di primavera, reduce dalla tappa di Crotone dove si sarebbe rifiutato persino di tenere il comizio, poi svoltosi regolarmente (dinanzi ad una piazza semivuota) solo grazie alle pressioni del suo braccio destro, Ciccio Ferrara. L’accoglienza nel capoluogo bruzio, invece, allora fu diversa: piazza Kennedy gremita, applausi scroscianti e ovazioni festanti. A far gli onori di casa, Enzo Paolini, il re delle cliniche private e presidente dell’Aiop, già avvocato di Giacomo Mancini e candidato sindaco per Sel alle comunali di Cosenza. Accanto a lui Evelina Catizone detta Eva, un tempo assessore nella giunta Mancini e già sindaco di Cosenza un decennio fa.
Due anni dopo invece in città si sente tutt’altra musica: i cerimonieri di allora cambiano maschera, e si trasformano in grandi accusatori.
Enzo Paolini, che sperava in una candidatura malgrado non abbia partecipato alle primarie, ha avviato una raccolta di firme da consegnare ai dirigenti nazionali, mentre Eva Catizone (arrivata seconda alle primarie), infuriata, ha preso carta e penna e si è dimessa dalla presidenza nazionale del partito. Uno strappo in piena regola, in quanto «stanca per il perpetrarsi di certi riti, per la deriva che sta assumendo Sel».
Quella di Catizone non è una rinuncia al posto in lista al senato (seconda dietro la candidatura di prestigio di Ida Dominijanni) ma una decisione plateale «perché in politica la forma è anche sostanza». Ma la questione è anche e soprattutto di «ciccia». Perché Catizone sembrerebbe ormai fuori dai giochi, estromessa dalle papabili dopo il rimescolamento in Toscana dove la rivolta degli iscritti ha riportato tra i capilista i vincitori delle consultazioni interne al partito.
In terra toscana, infatti, almeno inizialmente, era stata inserita la stessa Dominijanni, che in caso di elezione avrebbe potuto optare per il seggio toscano lasciando libero quello calabrese. Ora invece Catizone è praticamente fuori dai giochi e, non potendo far altro, si è sfogata prima sui social network («un femminicidio» lo ha definito), e poi con la lunga missiva inviata a Vendola in cui ha comunicato la sua autosospensione «perché le istituzioni politiche che sono stata chiamata a rappresentare oggi mi appaiono farlocche, del tutto finte, perché svuotate di contenuto e poiché non condivido la piega verticista che stiamo assumendo».
Una bagarre, dunque, tra notabilato locale e direzione nazionale. L’uomo forte dei vendoliani cosentini è Ferdinando Aiello, reduce da un bagno di voti (quasi 8mila) alle primarie del 29 dicembre. Consigliere regionale eletto nelle liste di Rifondazione, dopo un mese dalla proclamazione abbandonò il partito di Ferrero per passare armi e bagagli a Sel, e costituire un gruppo in Regione (con lui unico membro) ma non sotto le insegne vendoliane bensì in quelle nuove di «Progetto Democratico», forse per avere accesso ai fondi. Ora è capolista alla camera, dietro Vendola, e con un piede già dentro Montecitorio. Ma, non pago, vuol piazzare anche i suoi compagni, Paolini e Catizone. Il rischio è che a rimetterci in questa disfida tra centro e periferia sia il partito intero. In discesa nei sondaggi.