5 Novembre 2012
l'Unità

Baker, la draghessa di Firefox in cerca della libertà sul web

 

Giuseppe Rizzo

 

Chioma fulva mezza rasata, occhialino professorale e sorriso con fossette laterali, la Draghessa di internet è lei. Ama farsi fotografare con rettili o volpi sulla spalla e farsi chiamare «Lizard wrangling», titolo del suo blog, cioè «lucertola dispettosa». Winifred Mitchell Baker, californiana, a fine anni Settanta studentessa a Berkeley, oggi a 55 anni è una delle donne più in vista della Silicon Valley, per la rivista “Time” tra i 100 personaggi più influenti del mondo. Meglio, come donna tecnologica è la più in vista, dopo che Carol Bartz è stata rimossa dalla carica di amministratore delegato di Yahoo.

Mitchell «Lizard» Baker è ancora solidamente in sella della «corporation» del draghetto, o meglio a capo della Mozilla Foundation, proprietaria del browser Firefox, impegnata attualmente nella promozione di un nuovo sistema operativo – Firefox Os – che si prefigge di far dialogare le App tanto su prodotti Apple quanto su smartphone e tablet che utilizzano Android. Questo obiettivo per lei è quasi una crociata, si tinge di riflessi utopici da open source, da rottura di steccati, pur sempre nel recinto più vasto dei sistemi proprietari. «Noi siamo una struttura non-profit», chiarisce sempre, anche se una non-profit da 50 miliardi di dollari. «E vogliamo aumentare la libertà, non il controllo sul web». Insomma si comporta da guru, da Draghessa, appunto.

Lei è una delle donne più importanti della Rete. Sente questa responsabilità? In che cosa essere donna in una posizione chiave della Silicon Valley può fare la differenza?
«Le diversità sono importanti anche a livello di leadership. Se tutte le persone che creano la tecnologia di base di internet fossero uguali o anche molto simili, il risultato del loro lavoro rispecchierebbe questa prospettiva condivisa e quindi non potrebbe rappresentare tutti noi. Credo che il mio ruolo nel settore sia importante proprio perché penso alla tecnologia, alla società o al guadagno personale in modo diverso da molti miei coetanei. E questo, almeno in parte, è perché sono donna. Ciò che per altri è ovvio per me può essere solo convenzionale e non particolarmente buono. Cerco questo senso delle diverse possibilità nel nostro lavoro a Mozilla. D’altra parte questa è la filosofia prevalente dentro Mozilla, nel cui nucleo guida ci sono molte persone eccezionali. Non ho mai avuto grandi difficoltà a guidare Mozilla come donna. Il mio partner iniziale è stato Brendan Eich – creatore del linguaggio che va sotto il nome di Java script che gestisce molta parte del web – e con lui non ho mai avuto problemi di genere. Lo stesso vale per molti altri collaboratori, che sono contenti di avere una donna come presidente».

Non so quanti anni abbia suo figlio ma non le pare che i cosiddetti nativi digitali rischino di diventare una nuova specie di centauri, metà adolescenti e metà divano, visto come tendono a mediare qualsiasi relazione tramite il web? Non la spaventa questo?
«La vita virtuale e quella reale, fisica, sono sempre più interrelate. A volte le attività online mediano altre relazioni. Ciò è qualcosa di nuovo per molti di noi. D’altra parte ricordo che anche quando ero adolescente i miei genitori, della generazione precedente, erano preoccupati dall’uso che facevamo della tecnologia. Quanto tempo hai passato al telefono? Quanto tempo stai sprecando davanti alla tv?
Rapporti complessi con la tecnologia, che in parte amiamo e in parte ci mettono a disagio, non sono una novità. A mio parere però i veri nativi digitali saranno la generazione che crescerà facendo internet e sapendolo utilizzare nel modo migliore. Internet non è come la tv o come ascoltare un programma radio. È profondamente personalizzabile e può essere perciò vissuto in modo differente da ognuno. Capire come farne una esperienza che si adatta al proprio ambiente, a livello locale, è giusto il segno di riconoscimento di un nativo digitale. A Mozilla abbiamo un progetto che si chiama Webmaker (http://www.mozilla.org/en-US/webmaker/) che nasce dall’idea di far capire come creare cose online sia ormai diventato una competenza essenziale, come imparare a leggere, scrivere e fare di conto».

Ci aiuti a fare uno sforzo di immaginazione, lei che ha avuto un ruolo tanto importante nel passaggio al web 2.0. Come sarà il mondo di internet tra dieci o vent’anni?
«Dieci o vent’anni sono un tempo troppo lungo nella vita di internet. Ma nei prossimi cinque anni ci troveremo di fronte certamente a una ulteriore esplosione di dati. Vivremo in un mondo di informazioni. E vivere immersi in questi dati solleva questioni alle quali abbiamo bisogno di dare una risposta, come chi ha il controllo di questi dati, come ordinarli e filtrarli, e se ciò ci fa sentire più liberi o più manipolati. La mia paura più grande per il futuro della Rete è che si rischia un sistema fortemente centralizzato in cui poche imprese e governi controllano gran parte di ciò che accade online. Mozilla lavora per costruire un internet aperto, in cui ogni individuo abbia il massimo del controllo sulla sua vita. Gli ambienti informatici attuali, specialmente di telefonia mobile, non sono il mondo che vorrebbe Mozilla. Possono essere eleganti ma non sono aperti, distribuiti, ambienti in grado di utilizzare le potenzialità che il web ci ha mostrato. Così noi stiamo cercando di nuovo di cambiare il futuro di internet, ad esempio attraverso Firefox Os, il sistema operativo mobile che stiamo costruendo, e spero che guardando indietro tra cinque anni potrò dire che ci siamo riusciti».

Come coniugare l’esigenza di non essere più tracciabili sul web, non parlo solo di privacy, con le esigenze di sicurezza che i governi hanno o quelle degli investigatori di contrastare la criminalità?
«Dobbiamo affrontare questo problema come facciamo nella vita. Le nostre società per secoli si sono confrontate con il problema di come bilanciare la libertà personale con l’interesse pubblico. Ogni stato-nazione prende decisioni per tutelare la libertà e prevenire il crimine. Io però temo che le democrazie occidentali stiano cambiando, involontariamente, questo equilibrio».

Esistono già tutta una serie di App che autolimitano la nostra connessione, con una sorta di disconnessione a tempo. Perché non riusciamo più a staccarci da soli?
«Ogni nuova tecnologia dirompente porta con sé timori che possa cambiare il nostro comportamento o disumanizzarci, basta pensare a “Tempi moderni” di Chaplin. Stiamo capendo meglio come funziona il cervello umano e presto ne sapremo di più anche sul comportamento. Nel frattempo possiamo sviluppare strumenti che aiutino la gente a capire il proprio comportamento. A Mozilla abbiamo degli esperimenti in corso. Quando riusciremo a capire meglio l’uso individuale della tecnologia e perché potrebbe rivelarsi difficile disconnettersi avremo maggiori possibilità per cambiare le nostre abitudini».

Lo strapotere di Google viene da più parti criticato perché di fatto orienta l’accesso alle informazioni. I risultati della ricerca tengono conto di filtri su cui l’utente non ha alcun controllo e che molti contestano. Come superare questi paletti?
«Noi crediamo che un internet aperto che permette alternative per gli sviluppatori e per gli utenti sia il modo migliore per prevenire gli abusi».

La Apple non vi permette di accedere al suo sistema mobile e non siete gli unici con questo problema. Come giudica questa chiusura e non può rivelarsi un boomerang?
«Le tecnologie che si possono usare sulla piattaforma iOs sono limitate da Apple. Per questo motivo non siamo in grado di offrire tutto Firefox su iOs, ma solo parti di esso attraverso le tecnologie controllate da Apple. Al momento non abbiamo intenzione di farlo perché pensiamo che questa miscela tecnologica non farebbe né la nostra né la felicità degli utenti. Tuttavia continuiamo a sorvegliare le possibili interrelazioni tra Firefox e gli utenti iOs. La tendenza di oggi, capitanata da Apple, dei singoli produttori è di controllare sempre di più le decisioni sulla tecnologia da utilizzare, le pratiche commerciali, i prezzi e la capacità dei programmatori di dialogare con i propri clienti. È molto inquietante. Se dovesse diventare il modello prevalente perderemmo molto di ciò che di buono ci ha portato il mondo del web».


(
L’Unità,  5 novembre 2012)

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