di Daniela Danna
Sabato 7 ottobre ho partecipato a Chakra, una trasmissione a favore della Gpa. Non sapevo di essere l’unica voce contraria perché ad esempio la conduttrice non si era mai espressa del tutto a favore. Non sapevo che sarei stata continuamente interrotta, di persona dalla conduttrice o da filmati a senso unico che mostravano la felicità di una committente («Li ho partoriti io!» ha affermato senza vergogna) e delle lavoratrici che non si sentono schiave, però operaie della gravidanza lo sono. Non sapevo che Nichi Vendola, con il quale è stato deciso non da me di evitare qualunque contatto, sarebbe rimasto gradito ospite fino alla fine della trasmissione, tra sorrisi compiacenti e abbassamento di qualunque decenza nell’accettare sue peculiari espressioni quali «l’ovulo donato». Signor Vendola, a quanto ammonta il suo contro-dono in denaro alla “donatrice”? E perché progettare un figlio dall’origine frammentata, pagando poi la madre perché glielo consegni?
Molte amiche mi hanno chiesto come ho fatto a rimanere calma. Il fatto è che Michela Murgia mi è simpatica. Di più, ho stima di Michela Murgia. Ha scritto un libro bellissimo, Il mondo deve sapere, dove la protagonista che lavora alle televendite alle casalinghe del Kirby, macchina infernale aspira soldi prima ancora che aspirapolvere, pensa questo del suo capo: «Sarà difficile accompagnarlo al concetto che ci sono cose che non si fanno per soldi a questo mondo». E stava parlando della vendita di un elettrodomestico. I capi erano esperti di manipolazione emotiva sui loro sottoposti nonché sulle vittime della televendita. La vendita e l’organizzazione della stessa per un neonato non sono molto diverse. La pressione psicologica sulle fornitrici è addirittura formalizzata nelle sedute con la psicologa cui si devono sottoporre (nei paesi ricchi ovviamente – in quelli poveri sono dei contenitori e basta).
La retorica dei fautori dell’introduzione di questo commercio chiamato Gpa vede tutte le donne partecipi come volontarie e felici, ma ci sono tantissimi casi di dispute legali, e sono solo la punta dell’iceberg delle esperienze negative che fanno le donne chiamate, con violenza simbolica, “portatrici”: «Se te ne vai, non è perché ti dissoci e questo mondo ti fa schifo. No, ovviamente è perché non sei all’altezza del ruolo|. La frase è della protagonista de Il mondo deve sapere, ma anche alla portatrice che non ce la fa si dice (e lo scrivono le Famiglie Arcobaleno) che è colpa sua, non doveva firmare il contratto, ormai è troppo tardi: consegna il bambino! «Le scienze umane della psicologia sociale in mano a questa gente sono armi di distruzione di massa», scrive ancora Murgia a proposito del Kirby, che sempre più assomiglia alla Gpa: «Ci si convince che quello che si sta facendo non è una stronzata poco chiara, ma una cosa degna, che fa di noi delle persone con un ruolo nella società che è quello dei buoni, degli utili, dei positivi». Ci vuole molta autosuggestionabilità, una dote richiesta ai venditori del Kirby, anche per partorire, dire di non essere madre e consegnare ad altri una neonata. Ma in fondo non fanno che ripetere quello che dicono le leggi dei loro paesi: loro non sono assolutamente le madri dal punto di vista legale.
Il mercato della filiazione ha bisogno di regole per esistere. Una volta introdotta la validità del contratto in cui si compravende in astratto la filiazione (ma in concreto il neonato), le leggi poi non sono così tanto diverse da un paese all’altro come Murgia ritiene. Sapete qual è la differenza tra Gpa “commerciale” e “altruistica”? Quella tra la zuppa e il pan bagnato. Nel primo caso si può pagare qualunque somma alla madre retribuita, nel secondo solo “rimborsi spese”, “mancati guadagni”, risarcimenti per il danno biologico che subisce facendo una gravidanza senza nemmeno poi godere della presenza del bambino. Ci sono donne che ne sono morte, in India e negli Usa, perché di gravidanza e parto si può morire anche se è per altri.
In un altro libro, L’ho uccisa perché l’amavo (Falso!) che Murgia ha scritto con Loredana Lipperini, le autrici si interrogano sul significato stravolto che nei femminicidi si vuole dare a parole come amore, passione, violenza. Anche nella Gpa “amore” diventa la separazione tra madre e figlia, e la violenza di strappare i figli alle madri che vogliono recedere dal contratto è cancellata e negata. In Inghilterra i tribunali hanno separato una madre dalla figlia di 15 mesi “promessa ad altri”. I committenti diventano i padroni delle donne, e nessuno di loro pensa davvero che il bambino che attendono abbia invece, almeno prioritariamente, il diritto di proseguire la sua relazione con la madre. La gravidanza termina nella maternità, e la maternità deve essere autodeterminata, non eterodeterminata per denaro. Come è possibile volere mettere al mondo bambini che non sono desiderati dalle loro madri? Madre non è “colei che accetta di esserlo”, come ha scritto Murgia sull’Espresso, ma ogni donna che materialmente ha fatto un bambino. Anche nelle adozioni ci sono madri naturali, senza le quali le madri adottive non potrebbero esistere. Le donne possono benissimo scegliere di non essere madri: basta che non rimangano incinte o non portino a termine una gravidanza non desiderata. Di più nei miei due lavori in libreria: Fare un figlio per altri è giusto(Falso!) (Laterza 2017) e Maternità. Surrogata?(Asterios 2017), perché la questione della maternità e di come la viviamo e definiamo merita davvero ulteriori approfondimenti, da dibattere con pacatezza ma anche conoscenza.
(27esima.corriere.it, 12 ottobre 2017)
DANIELA DANNA SARÀ OSPITE DELLA LIBRERIA DELLE DONNE PER L’APERTURA DEL BOOK CITY, ALLE ORE 18 DEL 16 NOVEMBRE 2017, tema dell’incontro Dare alla luce. Femminismo e maternità.