17 Aprile 2015

Biografia e immaginazione

Alla pittrice Séraphine de Senlis avevamo dedicato la copertina, le immagini e un articolo di Via Dogana n. 95, Milano città aperta, 15 dicembre 2010. Oggi pubblichiamo la recensione di Antonietta Lelario al libro di Katia Ricci sulla vita dell’artista.

 

 

di Antonietta Lelario (Circolo La merlettaia) – Foggia, 8/4/2015

 

«La immagino mentre percorre le vie della cittadina (Senlis) o durante le sue escursioni in campagna e parla da sola di come rendere nei suoi dipinti alberi e fiori, dei colori da usare, in quali elementi scioglierli. La vedo mentre conversa con gli angeli o con la Vergine che la ispira, come lei stessa testimoniava. Fin dagli anni della sua infanzia ha dovuto constatare che soltanto il contatto con la natura la faceva sentire libera, bella e felice»: così Katia Ricci descrive l’artista a cui dedica la sua ultima ricerca (Séraphine de Senlis, artista senza rivali, Luciana Tufani editrice), così la immagina e la fa rivivere davanti ai nostri occhi.

 

Erano gli anni ’70, quando un intero movimento di donne ha detto basta all’invenzione del femminile che sostituiva alla realtà, ai desideri, alle parole delle donne, un’immagine artificiale. Da allora le donne hanno preteso la parola su di sé. E, nello sforzo di cercare un avvicinamento veritiero tra la parola e l’esperienza, hanno svelato tutto il castello di finzioni di cui è fatto il mondo maschile e di cui il rapporto con le donne era un segno significativo. Oggi, a partire dalla ricchezza che abbiamo scoperto nell’esperienza, anche la più semplice, la più quotidiana, possiamo accettare che per dire la verità di una donna occorra un certo grado di invenzione. L’invenzione, se è attenta alle parole dette, si fa più ricca, indaga nel chiaroscuro, segue orme appena accennate e si serve dell’esperienza per fare ipotesi, per restituire spessore all’umanità femminile. Lo sanno bene le donne della Comunità di Storia Vivente della Libreria delle donne di Milano, lo sa bene Katia Ricci che da molti anni si cimenta con la scoperta di tesori nascosti nel mondo dell’arte e nella storia dell’arte.

 

A Katia Ricci dobbiamo una bella rivisitazione delle relazioni fra gli artisti in cui operò Mary Cassatt, con particolare attenzione alla capacità del suo linguaggio di svelare i cambiamenti dell’epoca. Alla stessa autrice dobbiamo il primo libro d’arte su Charlotte Salomon in italiano, un’artista che ha dipinto la sua autobiografia innalzando un’ode alla vita in tempi di morte. È morta infatti ad Auschwitz nel ’43.

 

Nel suo ultimo libro, Séraphine de Senlis, Katia Ricci si fa guidare dall’attenzione scrupolosa ai segni che dell’artista ci sono rimasti, prima di tutto i suoi quadri, le note biografiche, le testimonianze di chi la conobbe, ma scopre presto che occorre attivare una appassionata e amorevole immaginazione per dare a quei segni corpo e senso. Infatti già dall’inizio del libro sappiamo in modo scarno le notizie più importanti eppure solo alla fine della lettura ci avvicineremo all’essenziale.

 

All’inizio pochi accenni a ciò che è risaputo di Séraphine: una serva autodidatta, cresciuta in un convento, che dipinge, si dichiara ispirata dalla Madonna e muore in manicomio. Dopo, Katia sembra voler superare le questioni che la vicenda di Séraphine potrebbero sollevare sul legame fra arte e pazzia e sul peso dato nella storia dell’arte, fra ottocento e novecento, all’espressione “ingenua”, per potersi concentrare sulla luce che proviene dall’artista e che lei ha lasciato nei suoi quadri. Ne insegue la sensibilità, i turbamenti. Ricostruisce l’origine della presenza vitale e potente della natura nei suoi quadri. Immagina la sua infanzia fra il dolore per la madre persa prematuramente e la fatica del lavoro contadino, ma anche la sensazione di libertà che deve aver provato vagando nei campi, il piacere abbracciando gli alberi, la conoscenza profonda delle variazioni dei colori naturali, ma anche quelli accarezzati nelle lunghe pause trascorse in Chiesa a guardare incantata le immagini della Vergine. «A chi comunicare quella pienezza di vita, quella gioia così intensa? Che momento stupendo fu quello in cui capì che aveva un mezzo semplice per esprimersi, che non aveva bisogno di parole, di spiegarsi bene, di evitare le trappole di una lingua che non possedeva del tutto. Una vera magia. Quando rivedeva l’opera compiuta, quasi non credeva ai suoi occhi. Lei, proprio lei, l’aveva fatta: – Oh grazie madonnina mia, grazie, grazie -». Queste emozioni ricostruisce Katia Ricci, aiutata, ho pensato io, dalla sua stessa infanzia a contatto con la natura e dal suo stesso amore per l’indicibile che l’arte permette di far intravvedere. E aggiunge: «Perché per Séraphine la spinta a dipingere era di natura spirituale […] L’arte era un modo per esprimere i colori della sua anima, la propria necessità. Dipingere per essere». E tuttavia il libro non è una ricostruzione agiografica. Attraverso la lettura attenta dei quadri, nel loro non naturalismo, nella loro forza simbolica Katia ci conduce verso le inquietudini dell’artista: «Quale tormento l’agitava?… A chi poteva affidare le sue sensazioni, le sue paure, le sue umiliazioni se non alla tela, esprimendole attraverso linee contorte e colori che assomigliavano al fuoco o ad artigli, a occhi indagatori o a becchi d’uccelli?» Non manca inoltre il racconto della fatica, le difficoltà di relazioni col contesto paesano, né il corpo a corpo per realizzare sulla tela i colori che le riempivano il cuore. Attenta poi è la ricostruzione ricca di notazioni del clima storico e culturale e il racconto del rapporto affettuoso con il critico d’arte Uhde e con la sorella Anne-Marie, che permisero la scoperta e la fama di Séraphine in vita. E tanto altro ancora. Insomma è questo di Katia Ricci un libro da leggere tutto d’un fiato in cui la capacità dell’immaginazione di non tradire i segni lasciati da una donna, ma anzi di arricchirli per ricavarne una figura piena, a tutto tondo, e per stabilire con lei una relazione amorevole, vince la prova.

(www.libreriadelledonne.it 17/04/2015)

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