La medicina che ha imparato a mettere al centro, prima di tutto, la relazione e la narrazione
17 Gennaio 2014
la Bellezza delle cose

Cappelli all’uncinetto

di Aida Secibel Realpe Valencia

 

Era il 24 settembre 2002 quando sono arrivato in Italia: ero emozionato e spaventato. Dopo un mese il mio primo impiego: dovevo prestare assistenza a un paziente emiplegico. Ero incerto se accettare questo lavoro: non parlavo ancora bene l’italiano e poi pensavo di non essere in grado di eseguire l’igiene, ma ho accettato e subito dall’inizio mi è piaciuto, anche perché questa famiglia era buona con me, e mi sembrava di assistere i miei nonni. Poi ho saputo dell’esistenza di un corso che ti permetteva di lavorare con persone anziane e malate, così ho deciso di frequentare il corso per Operatori Socio Sanitari.

Nel maggio 2005 sono stato assunto nella RSA PER CONIUGI reparto ALZHEIMER: credevo che avrei trovato delle coppie di marito e moglie, invece erano quasi tutte donne, perché gli uomini erano deceduti. Il primo giorno mi sono state date informazioni su questa patologia, e poi mi bastarono pochi minuti per rendermi conto di essere entrato in una realtà a me sconosciuta. Ricordo ancora con affetto che la signora Elisa, mi disse : “Dammi la mela cotta”. Io le detti la mela e quando finì di mangiarla ritirai il piatto vuoto e le posate. A un certo punto sentii urlare: “A che ora date la mela cotta!”. Non ci credevo che fosse proprio la signora Elisa che aveva appena finito di mangiarla. Gli altri operatori si erano dimenticati di avvisarmi che non dovevo portare via il suo piatto. Per calmare la sua rabbia, mi procurai una nuova mela cotta e gliela porsi, scusandomi con lei, che mi rispose molto seccata: “ Che questa cosa non si ripeta più”. La signora Elisa così si era calmata, e io da questo episodio che per me era senza significato, ma che aveva invece scatenato tanta rabbia nella signora

Elisa, ho capito che dovevo avere più informazioni riguardo questa patologia. Un’altra volta si è persa nel parco dietro la struttura e non riconosceva l’operatore sanitario che l’aveva trovata e che voleva riaccompagnarla: aveva paura e si è fidata soltanto di un altro operatore che invece aveva riconosciuto; mi rendevo sempre più conto della gravità di questa malattia. Dopo una caduta, la signora Elisa ha subito un declino anche fisico: le hanno posizionato una PEG per alimentarsi, tutti i suoi muscoli si sono atrofizzati:ha assunto una posizione forzata, ha piaghe da decubito, non parla più, a volte sorride e muove solo gli occhi. Talora vado a trovarla e ricordiamo i momenti belli che abbiamo vissuto insieme: nei momenti di lucidità mi dava consigli, poi si dimenticava tutto, oppure ripeteva le stesse cose cento volte. Mentre le parlo, l’accarezzo, le dò un bacio e lei mi sorride. Anche se non si può spiegare a parole, questo per me è un regalo della vita.

Dopo qualche mese, quando mi sentivo un po’ più sicuro, perché stavo imparando tante cose, è arrivata la signora Alessandra: alle ore 14 di ogni giorno lei voleva andare a casa sua prima che cominciasse a piovere ,  perché aveva lasciato aperto il gas. Non serviva a nulla calmarla e tranquillizzarla, diventava sempre più aggressiva fino a diventare violenta, nemmeno i sedativi somministrati dal medico la calmavano. E così ogni giorno alle 14 in punto: nessuno ci dava indicazioni su come comportarci e per noi operatori era un incubo. Un giorno cercai di coinvolgere la signora Alessandra in un’ attività molto semplice, le dissi se mi aiutava a riordinare il carrello della biancheria e a mettere le bustine di the nelle tazze: queste attività la distoglievano dall’idea di andare a casa e così tutti gli operatori cominciarono a cercare la sua collaborazione e così si andava alla grande. Anche lei ora è peggiorata, è allettata, a volte parla ancora, ricorda tutto il suo passato , ricorda ancora episodi accaduti durante la guerra, tutto il suo tempo si è fermato li. Ricordo anche con affetto la signora Bianca, molto simpatica che ogni giorno faceva cappelli all’uncinetto: li doveva finire il sabato quando arrivava la figlia, ma alla quale li consegnava per venderli e il ricavato serviva per aiutare i bambini poveri. Ne ha fatto uno anche per me: non era molto bello, però l’amore che ci ha messo per farlo mi ha riempito il cuore.

Un giorno mentre non si è accorta della mia presenza, l’ho sentita che parlava: “Muro ascolta quello che devo dirti, adesso sono triste perché mio figlio non c’è più, dimmi perché è morto così: lui non doveva andare all’idroscalo, e li che è morto, ma questo non lo sa nessuno, e io lo racconto a te perché sono sicura che non lo dirai a nessuno, ma toglimi questo dolore che ho dentro nel cuore “. Mentre ascoltavo queste parole, il mio cuore voleva piangere, quanto dolore ho sentito quando parlava col muro, perché ,era l’unico che l’ascoltava. Mamma mia tante altre cose mi sono capitate, ho voluto raccontarvene solo alcune.

(la Bellezza delle cose, n°6/2013)

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