24 Settembre 2015
Il Quotidiano del Sud

Carolina e le donne parte migliore della politica

di Franca Fortunato

«Assolta per non aver commesso il fatto e perché il fatto non sussiste», sono queste le motivazioni con cui i giudici del tribunale di Crotone hanno assolto Carolina Girasole, ex sindaca di Isola Capo Rizzuto, dalle accuse di essere stata eletta con i voti della famiglia mafiosa degli Arena e di averli favoriti nella raccolta di un campo di finocchi su un terreno a loro confiscato. Terreno che a tutt’oggi continua ad essere gestito da una cooperativa di Libera, a cui Carolina l’aveva assegnato. Finisce un incubo per lei e per chi – come me e altre – dopo lo sconcerto e l’incredulità del primo momento, non ha mai cessato di credere in lei e a lei, non per “garantismo”, ma per quella profonda e speciale fiducia tra donne, che nasce dal riconoscersi nel libero desiderio di cambiare questa terra, segnandola dell’autorità e della grandezza femminile.

È questo che Carolina, insieme alle altre – Annamaria Cardamone, sindaca di Decollatura, Elisabetta Tripodi, ex sindaca di Rosarno, Maria Carmela Lanzetta, ex sindaca di Monasterace – hanno reso possibile, amministrando i loro paesi con passione, competenza, coraggio, libere da ogni compromesso – come oggi anche i giudici riconoscono a Carolina – con la ’ndrangheta e la mala politica che quasi sempre vanno insieme. L’assoluzione di Carolina rende giustizia a chi crede, e ha sempre creduto, che le donne in questa terra sono la parte, non superiore, ma migliore della politica. Donne che hanno amministrato, o continuano a farlo come Annamaria Cardamone, credendo nella forza del proprio desiderio di rendere il proprio paese “normale” e dimostrare che un’altra politica è possibile, perché loro l’hanno praticata. È questo che nessuno/a potrà mai cancellare. Lo sanno bene tutti coloro che le hanno avversate, ostacolate, misconosciute. Troppi – dentro e fuori i partiti – hanno cercato di archiviare troppo in fretta la loro esperienza, decretandone il fallimento, dopo averla ostacolata, come ci insegna la vicenda di Elisabetta Tripodi, o screditata come con la Girasole, o disconosciuta come nel caso della Lanzetta e della Tripodi, che avevano tutti i numeri per entrare nella Giunta regionale. A loro, certo, mancavano e mancano i titoli accademici per partecipare a quel Senato accademico che è la Giunta regionale, ma avevano e hanno altri titoli, quelli necessari per una buona amministrazione e una buona politica che negli anni hanno portato avanti col sostegno delle donne e degli uomini che hanno creduto in loro. Competenza, esperienza, intelligenza, capacità amministrativa, coraggio, orgoglio, passione, amore per la propria terra, questi sono i loro titoli e chiunque ha veramente a cuore le sorti di questa terra non può che rallegrarsene, riconoscerli e valorizzarli. E invece!! Pensare – come molti hanno fatto in questi anni – che l’esperienza delle sindache, etichettate come sindache “anti ’ndrangheta” – qualcuna ribattezzata in fretta “amica della ’ndrangheta”, come nel caso della Girasole – sia fallita, è un modo per togliere la speranza alla Calabria, quella stessa Calabria che, un giorno sì e uno pure, la si accusa di non sapersi indignare, di non sapersi ribellare, di essere apatica e incapace di sognare. La speranza non è una promessa, ma un orientamento, un sentimento che quando c’è va trattato con cura per non ucciderlo. Queste donne coraggiose si sono date forza, si sono autorizzate l’una con l’altra nelle loro pratiche quotidiane, nelle loro scelte “impreviste” e “inaspettate” per chi – come i mafiosi e i mala-politici – era abituato a ben altra politica e a ben altra pratica amministrativa. Sono state capaci di trasformare la speranza del cambiamento in realtà e segnarla del loro desiderio femminile, pagando anche prezzi personali molto alti. Non riconoscerlo come un bene per sé, per gli altri e per la Calabria tutta, condanna la politica alla ripetizione, alla autoreferenzialità e alla pura gestione del potere. Con l’assoluzione di Carolina Girasole ogni cosa torna al suo posto. A me non resta che, col cuore colmo di gioia, dirle Grazie per avermi permesso di continuare a credere in lei. Grazie per essere stata, anche in questa occasione, una Signora e aver saputo, con la stessa passione e la stessa forza con cui ha amministrato il suo paese, difendere in tribunale la sua dignità e la sua verità di donna.

(Il Quotidiano del Sud, 24 settembre 2015)

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