7 Agosto 2020
il manifesto

Casa internazionale delle donne, la libertà è senza prezzo

di Alessandra Pigliaru


Il tetto che scotta. Ammonta a un milione di euro il pagamento richiesto alla Casa internazionale delle donne di Roma da parte del Comune. La sindaca Raggi tace. Le attiviste: «Non ce ne andiamo». Nessuno scomputo per i servizi offerti in questi anni. «Ci aspettavamo di discutere nel merito», dice Maura Cossutta, presidente del Consorzio di via della Lungara


Il 27 luglio la Casa internazionale delle Donne di Roma ha potuto incontrare Valentina Vivarelli, assessora al patrimonio e alle politiche abitative della capitale. L’appuntamento sollecitato dalle amiche di via della Lungara è l’ultima tappa di un percorso durato mesi, che ormai sono diventati anni, teso a scongiurare l’ipotesi dello sfratto, dopo la richiesta di pagamento da parte del Comune arrivato nel novembre del 2017 della «morosità accumulata» attribuita al Consorzio del Buon Pastore. Ammontava allora a 833mila euro mentre adesso, nel computo dettagliato da esigere, è pari a un milione di euro (precisamente si tratta di 1.012.398,72 euro). Una richiesta abnorme e tuttavia priva di ulteriori spiegazioni, come lo sono i dati contabili, algidi oggi come nei precedenti incontri tra le attiviste e il Comune, nell’indifferenza alle interlocuzioni passate.

RESPINTA AL MITTENTE la richiesta di transazione presentata nei mesi scorsi dal Consorzio, si chiede alla Casa di sborsare una cifra da capogiro. «Ci trattano come fossimo inquiline morose e lasciano che la nostra esperienza politica sia affidata a una pratica burocratica», appare amareggiata Maura Cossutta, presidente della Casa internazionale che – come la sua predecessora Francesca Kock – non si scoraggia. «A dire il vero, sono sorpresa – prosegue Cossutta – ci aspettavamo un’apertura per discutere nel merito. Dal 2018 attendiamo che la sindaca e la giunta si esprimano congruamente nel merito. Dentro la Casa c’è una storia che non può essere spazzata via in questo modo». Ed è appunto dell’agosto del 2018 la revoca della convenzione, da quel momento, si apprende adesso, il debito è stato aggiornato. Piuttosto bizzarro visto che in molti modi dal Buon Pastore hanno cercato di proporre tavoli e confronti con l’Amministrazione, «per esempio in virtù degli indicatori regionali di valutazione economica dei servizi – dice Cossutta – e grazie anche a un ordine del giorno al decreto legge Milleproroghe che aveva previsto la valorizzazione economica e sociale dei servizi considerando i luoghi delle donne beni comuni». Questa congiunzione avrebbe potuto agevolare l’uscita dall’impasse, eppure niente è stato colto dal Comune; nemmeno giunte assai più contrarie di questa attuale hanno mai creduto di affossare l’esperienza della Casa internazionale delle donne.

GIÀ NEL 2017 le attiviste sostenevano che non veniva considerato il valore dei tantissimi servizi offerti e per questa ragione, a fronte di una interlocuzione cominciata nel 2013 con il Comune e le precedenti giunte, la qualità di quei servizi arrivava a un valore economico di 700mila euro annui. Ma con Virginia Raggi al timone non sembra vi siano margini di ascolto né di scomputo. Preferisce il silenzio ed era assente anche a quest’ultimo incontro tra la Casa e l’assessora Vivarelli. Una ritrosia che appare adesso ancor più inaccettabile, in particolare dopo gli ultimi mesi in cui a causa della pandemia ulteriori sono state le difficoltà affrontate sia dalla Casa – che non ha mai smesso di sostenere le esigenze di quante vi si rivolgevano – sia dai luoghi delle donne, centri antiviolenza e sportelli così come di quante dentro le case si sono caricate un lavoro enorme e misconosciuto come quello domestico, di cura con uno slabbro formidabile riguardo l’insufficienza di sostegni esterni; «ci saremmo aspettate più rispetto e attenzione, proprio per il momento drammatico che stiamo attraversando» spiega Cossutta. Insieme al pagamento delle utenze e all’autofinanziamento per poter garantire comunque i servizi e stare accanto al tessuto sociale cittadino, questi mesi in via della Lungara sono stati complessi da affrontare. Nessuna si è sottratta e anche la sindaca avrebbe dovuto stare sul punto, mostrarsi presente aprendo un reale dialogo ed evitando di rubricare la vicenda come un affare per funzionari che dettagliano il piano-spesa.

MOLTE sono state le mobilitazioni, sia nel mondo dell’attivismo e dell’associazionismo, anche da una parte delle istituzioni. Sono arrivati appoggi e riconoscimenti pubblici sull’indiscusso rilievo di una esperienza politica e sociale come quella della Casa internazionale delle donne di Roma da ogni parte del mondo eppure non sono sembrati adeguati a far comprendere quanto stia accadendo: a distanza di mesi e di finte trattative a cui si sono aggiunte mozioni (come quella presentata nel maggio del 2018 dall’allora presidente della commissione delle elette Gemma Guerrini), la Casa è in pericolo perché ancora una volta si intima un pagamento che continua a svicolare sul merito politico.

COSÌ, MENTRE il Consiglio comunale ha promosso il valore dei beni comuni, votando all’unanimità contro il patto di stabilità, l’assessora Vivarelli ha proposto di rateizzare il milione di euro in tre anni grazie alla norma transitoria della bozza di regolamento dei beni immobili non disponibili. Le attiviste sono sicure: «Consideriamo responsabile di tutto questo la Giunta e in particolare la Sindaca Raggi. Altro che “Le donne unite fanno la differenza!” Oggi la sindaca è contro le donne, è responsabile di questa provocazione e di questo attacco esplicito alla vita e all’autonomia della Casa delle donne, in una prospettiva di ingannevole sussidiarietà e di bandi». Aggiunge Maria Brighi che «il valore della Casa è inestimabile, lo abbiamo costruito noi tutte e non ce lo faremo portare via». Si prospettano mesi di lotta ed è certo che sugli spazi della libertà femminile come è la Casa delle donne, ma come lo sono anche Lucha y Siesta e tanti altri sparsi lungo il territorio italiano, a prendere parola saranno il femminismo e la politica delle donne.


(il manifesto, 7 agosto 2020)

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