27 Febbraio 2015

Charlie? Una distanza che non va colmata

di Claudio Vedovati

 

L’identificazione – Je suis Charlie – è il gesto politico che ha mosso alcuni milioni di persone di fronte all’attentato al giornale satirico Charlie Hebdo. Un immaginario Charlie, che non è il nome di una persona ma di una testata, si è manifestato come reale l’11 gennaio, a Place de la République, quando nella folla riunita come un unico corpo politico sono comparsi grandi cartelloni con gli occhi di Charb, il direttore del giornale ucciso.

 

Identificarsi per fare corpo tutti insieme ma anche per sostituirsi, stare al posto di, al posto di coloro che sono stati uccisi, in qualche modo cancellandone simbolicamente la morte. Infatti quando un giornalista chiede alla compagna di Charb se di fronte “al mondo che afferma Io sono Charlie” lei gioisca come di una vittoria, la risposta è: “assolutamente no, perché lui è morto.” Quel tipo di identificazione non permette la trasformazione.

 

L’atto linguistico Je suis Charlie ha subito riportato alla mia mente la frase che all’inizio degli anni ’80 un’attrice francese pronunciava in uno spot: Oui, je suis Catherine Deneuve. L’accostamento delle due frasi ha aperto un varco al pensiero: cosa significa mettersi al posto di? E quando è necessario dire sì, sono proprio io? Catherine apre al sospetto che la figura politica dell’identificazione sia un buco nero in cui si ci può perdere.

 

Per capire meglio ho posto una questione a Rosetta Stella e Gaia Leiss con le quali in questi mesi ho creato a Roma uno spazio di lavoro, una Scuoletta per un uso politico della teologia. Volevo capire perché di fronte all’attacco a Charlie Hebdo la reazione maggioritaria è stata quella di un’adesione di tipo identitario, mentre niente di simile ha suscitato la morte di Gesù. Di quella morte è stato fatto altro, cosa?

 

Secondo Rosetta l’effetto di Je suis Charlie – il cartello sollevato alla manifestazione, l’immagine che prende il posto del proprio volto sui social network – è quello di far scomparire le persone: nascosti dal cartello gli uomini e le donne non esistono più, sono cancellati ed esiste solo la parola del cartello. Sul Golgota, mi spiega Rosetta, accade l’inverso: viene meno la parola (il logos) ed il solo corpo di Gesù morto diventa parlante. Di fronte a questa morte il centurione romano, il primo convertito, afferma davvero quest’uomo è figlio di Dio. Accade qualcosa di diverso dall’identificazione con Gesù, perché si mantiene quella distanza vitale che porta alla conversione. Si riferisce, Rosetta, alla conversione come ad una trasformazione che ti fa essere ed agire in maniera completamente differente: qualcosa che accade grazie ad un passaggio di autorità, senza il quale non c’è libertà. Gesù ci mette il proprio corpo per dare salvezza e con la morte di Gesù tutto è compiuto e ora altro può accadere.

 

Con il femminismo è venuta al mondo la libertà femminile e un esempio interessante è quello delle Madres de Plaza de Mayo che agiscono con altrettanta potenza simbolica e politica quando affermano di essere per sempre incinte dei propri figli e delle proprie figlie. Non si identificano con i figli, non si sostituiscono a loro, mantengono una differenza vitale: da madri “danno vita e tengono in vita

 

Il femminismo della differenza ha mostrato cosa può accadere oltre l’identificazione facendo riferimento alla figura dell’autorità. Nella relazione madre-figlia c’è la possibilità del passaggio dall’identificazione alla mediazione, attraverso la figura dell’autorità femminile che non si trasforma in potere quando può lasciare quella distanza che permette l’indipendenza simbolica. Nei maschi, invece, l’individuazione avviene rinunciando all’oggetto d’amore materno per identificarsi nel padre, facendo poi dellaccordo tra fratelli per l’uccisione del padre il momento emancipativo che fonda la società, una società in cui la libertà prescinde dalla relazione e in cui si perde il gioco della dipendenza e dell’interdipendenza.

 

L’ identificazione, attraverso Je suis Charlie, trasforma in un unico corpo politico, una piazza, una nazione e una civiltà, cancella i corpi dei morti, ma anche la singolarità dei nostri corpi e via via, attraverso Charlie, ci spinge all’identificazione con valori e parole astratte. Attraverso l’identificazione – dice Rosetta – noi proiettiamo la percezione del nostro stesso valore: noi non valiamo e i valori ci sopravanzano (la libertà d’espressione, la democrazia, la legge), valgono più della nostra vita e “più per questi valori si danno vite e più le vite materiali delle singole persone non valgono niente”. Cosa dobbiamo accettare oggi “che di noi debba morire”, della nostra civiltà, perché possa nascere altro, perché possiamo convertirci?

 

La grande stagione del pensiero maschile, durata secoli e finalizzata a trovare fondamenti diversi dal nascere da corpo di donna e a rendersi autonomi rispetto a quello che accade nelle relazioni, è giunta al capolinea con la fine del patriarcato decretata dalle donne. La figura politica dell’identificazione è uno suoi resti più inefficaci.

 

Io ci sono arrivato per una strada completamente diversa, più personale. Negli anni della mia adolescenza, incoraggiato da alcuni misteri familiari sulla mia stessa nascita, avevo a lungo fantasticato di non essere figlio di mio padre ma di un altro uomo amato da mia madre. Ho poi letteralmente scoperto che è mia madre ad avere scelto di chi fossi figlio. I miei desideri di identificazione, con cui desideravo plasmare la mia identità maschile, e il mio accesso alla vita simbolica dovevano fare i conti con la scelta di libertà di una donna. È lei che ha scelto le mie origini, dandomi più libertà nel rapporto con mio padre e con il maschile. È intorno al vuoto lasciato dal padre edipico che come uomini, grazie alla disparità che si gioca nelle relazioni con le donne, possiamo ripensare alla politica.

 

I meccanismi di identificazione nascondono una distanza che non va colmata, mentre l’identificazione con il padre prelude al suo omicidio, per prenderne il posto, la fratellanza si rovescia in fratricidio e l’appartenenza in espropriazione. E’ arrivato il momento per noi uomini di prendere sul serio le relazioni di differenza, che mantengono quella distanza che apre alla vita ed alla trasformazione.

 

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