25 Febbraio 2020
#VD3

Che ne è della nostra esperienza?


di Luisa Muraro


Tra le cose che sono state dette, mi ha colpito la domanda che Chiara Zamboni ha riportato qui tra noi. In un dibattito ad un certo punto una tale (una studentessa?) le ha chiesto: ma allora che ne sarà della (mia) esperienza?

Prima di me, la domanda ha colpito Chiara e giustamente, c’è infatti da preoccuparsi per la sorte della nostra esperienza… nostra? Pare invece che sia sempre meno nostra e quindi sempre meno esperienza. In un libro ormai celebre, Il capitalismo della sorveglianza (Luiss U.P., 2019)di cui si è cominciato a ragionare qui in Libreria su iniziativa di Laura Colombo, l’autrice Shoshana Zuboff ha illustrato in maniera convincente il processo di formazione di un nuovo capitalismo che trae i suoi profitti dall’appropriazione della nostra stessa esperienza, esproprio reso possibile dai prodigiosi progressi dell’informatica. Quest’ultima, che sembrava dover essere un benefico fattore nell’ambito dell’informazione e della comunicazione globali, sta diventando, come dimostra Zuboff, una tecnologia che impoverisce gli umani della loro vita interiore e relazionale (rendendoli prevedibili) a vantaggio di minoranze privilegiate (i “nuovi poteri”) che non rendono conto di sé a nessuno.

Attenzione, non parlo del futuro; questo è quello che capita. A noi in Libreria è già capitato di dover soffrire delle perdite nei nostri rapporti.         

Il femminismo è un campo di battaglia, mi piaceva dire una volta. Lo è ancora un campo di battaglia, ma con il sistematico ricorso ai mezzi digitali rimodellati secondo gli interessi del grande capitale, il campo di battaglia rischia di diventare come i campi trattati con i diserbanti della Monsanto, o come le trincee della prima guerra mondiale quando si usavano i gas nervini. Inquinato, tossico. La realtà virtuale prende il posto del tempo e dello spazio. La presenza altrui perde di significato, come anche l’assenza; nel vuoto subentrano sigle e schieramenti che possono cambiare, gonfiarsi, sparire e ricomparire, non si sa come. I nomi delle persone diventano dei segnali, le parole vanno a una velocità che non lascia il tempo di pensare né di vivere l’esperienza relazionale, che è indispensabile per avere un felice rapporto intimo tra sé e sé.

Il movimento femminista ha preso lo slancio proprio da un’esperienza di questo tipo, insieme relazionale e intima. E si è sviluppata quella che possiamo considerare una rivoluzione simbolica e sociale, la prima senza morti e senza condanne a morte.

E adesso? Adesso ci troviamo in un nuovo campo di battaglia con una posta in gioco altissima. Io dico: stiamoci (ci sono forse delle alternative?) con tutta la necessaria consapevolezza. Ma con quali armi per combattere? Se è vero, come temo, che i mezzi che un avversario strapotente lascia nella nostra disponibilità, sono trappole?  

La mia risposta è relativamente semplice: vinceremo con l’autenticità della presa di coscienza, con la ricerca della verità soggettiva, con la pratica delle relazioni, con la fiducia nelle altre donne, insomma con tutte le armi che sono la posta in gioco, il tesoro stesso che non vogliamo perdere, senza il quale saremmo perdute in partenza. Non ho detto che sia facile.

(www.libreriadelledonne.it, #VD3, 25 febbraio 2020)

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