24 Agosto 2015
Corriere della sera

Ci vuole tempo per stabilire se Martina Levato può essere madre – MA LA DECISIONE ARRIVA ENTRO IL 30 SETTEMBRE

di Alessandra Kustermann


Caro direttore, stiamo attenti a giudicare frettolosamente la capacità di una donna di diventare una «buona» madre. Valutare casi così complessi sotto i riflettori dei media e nella concitazione dei tempi dell’opinione pubblica rischia di far sembrare ragionevoli le uniche soluzioni che si prospettano nell’emergenza. Per casi così complessi è necessario che le soluzioni maturino in tempi e modi adeguati. La nuova legge sull’adozione dice che il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia. I parenti fino al quarto grado che abbiano rapporti significativi con lui ugualmente dovrebbero essere valutati prima di dichiarare adottabile un minore. Quindi, limitare le possibilità di Martina, dei suoi genitori o di altri parenti di stabilire un rapporto significativo con il piccolo Achille, potrebbe ledere un suo diritto. Per verificare l’idoneità di almeno un membro della famiglia di origine di occuparsi bene di Achille è importante un periodo di osservazione adeguato e accertamenti e perizie psicologiche che dovrebbero essere portate avanti con serenità. Una valutazione della capacità genitoriale prevede che sia almeno resa possibile la costruzione di una identità genitoriale. È necessario permettere alla madre di vedere il bambino, osservare nella realtà la sua capacità di essere empatica verso il figlio, costruire con lei un percorso educativo e avere fiducia nel fatto che la nascita di un figlio sia in grado di modificare la donna che l’ha avuto. Bisogna essere capaci di prescindere dal delitto che ha commesso. Per quel grave delitto è stata giudicata e condannata a una pena detentiva. Adesso va valutata sulla sua situazione attuale in rapporto al bambino che è nato. La gravidanza è un processo che già da solo è in grado di modificare la percezione di sé e del proprio rapporto con gli altri. Negare a priori questa capacità di trasformazione insita nel dare la vita vuole dire pensare che si è madri a prescindere dal bambino che si mette al mondo. Come se l’archetipo della madre dovesse essere a priori presente in tutte le donne per considerarle degne di essere madri. Viceversa la mia lunga esperienza di ginecologa mi ha insegnato che il passaggio dal desiderio di maternità al divenirlo in realtà è un lungo processo che inizia con il concepimento ma non si conclude mai. La relazione con un figlio è l’unica che davvero prevede continui cambiamenti e adattamenti in base a esigenze sempre diverse del bambino, e poi dell’adolescente e poi del giovane adulto, finché morte non li separi. Avere un figlio, amarlo, osservarlo ed educarlo sono impegni talora gravosi che la donna assume sviluppando nel tempo e nel rapporto con quell’individuo le sue capacità di essere madre. Entro il 30 settembre assistenti sociali e psicologhe dovranno valutare se Martina è in grado di occuparsi adeguatamente del suo bambino. È un tempo breve per assumere decisioni che modificheranno profondamente la vita di Achille e di molti individui con lui. Spegnere i riflettori, quindi, è fondamentale per consentire ad assistenti sociali e psicologi di lavorare serenamente e di giungere a conclusioni non inficiate da pregiudizi.
(Corriere della Sera, 24 agosto 2015)

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