14 Gennaio 2016

Colonia: che abbiano un mandante o meno poco importa. La misoginia patriarcale è la matrice.

di TK Brambilla


La notizia delle terribili violenze contro le donne, in Germania a capodanno, mi ha molto turbata. Ho provato rabbia, paura e perfino un sentimento di impotenza.

Che abbiano un mandante o meno, poco mi importa. In entrambi i casi, la matrice è da rintracciare nella misoginia patriarcale di cui è ancora pervasa l’umanità e certamente anche quell’umanità arrivata dai paesi islamici, ormai entrata a far parte della società in cui viviamo.

Con particolare attenzione alle questioni che ci dividono, ho letto su facebook e in rete molte discussioni e commenti di e tra donne.

Uno dei nodi che crea conflitto è la necessità di stabilire che la cultura dei paesi islamici sia più sessista e misogina di quella europea. Alle donne si chiede di assegnare il primato della misoginia al maschio musulmano, per non essere etichettate come fiancheggiatrici del patriarcato più patriarcato che c’è, quello islamico.

La violenza sessuale del branco di maschi di piazza Tahrir deve essere riconosciuta come uguale a quella di Colonia ma ontologicamente diversa da quella del branco di maschi occidentali dell’Oktoberfest.

Questa appassionata richiesta mi colpisce: qual è il guadagno per le donne? Poter stabilire che i nostri uomini sono migliori dei loro poiché ci hanno concesso di più oppure che le donne occidentali sono state più brave di quelle dei paesi islamici, a cui mandiamo tutta la nostra solidarietà purché si tengano i loro uomini?

Un’altra questione che divide è ben sintetizzata da uno dei commenti intorno al quale si è molto discusso: «Non sopporterei mai di perdere la mia libertà, nemmeno per salvare un intero popolo di rifugiati», in contrapposizione a chi, buonista cieca, è pronta a mettere in pericolo la libertà delle donne, per aprire le porte ai popoli in fuga dai paesi islamici.

Sono una donna e, essendo italo-iraniana, io stessa sono il frutto dell’incontro con una diaspora. Mi è quindi impossibile pensare la mia libertà di donna in competizione con l’esistenza di un popolo altro.

Del resto questo genere di sguardo per leggere il mondo credo sia quanto di più lontano dall’esperienza femminile della libertà, che si realizza nel riconoscimento e nella relazione con l’altro da sé.

La mia libertà non è un principio astratto da difendere mettendolo in cassaforte. Ogni volta che così mi sono orientata, mi sono sentita sotto scacco: incapace di trovare mediazioni, non sono riuscita a produrre nulla né per me né per gli altri. Essere libera per me è darmi la possibilità che questo accada.

Come molte donne, ho conosciuto e conosco la violenza maschile e la misoginia. So che rischio di esserne vittima sempre, nonostante i diritti che si pensano conquistati. Io scelgo di correre questo rischio perché voglio fare parte del mondo, voglio esserci e voglio agire per trasformarlo in un luogo migliore in cui l’umanità tutta, non solo una parte di essa, sia realmente libera.

Oggi sono in atto migrazioni di massa molto probabilmente destinate a continuare e difficilmente arrestabili, almeno in modo pacifico. Non solo, un’ampia umanità altra è già qui in Europa, fa già parte della società occidentale. Questo non è buonismo, è guardare al reale del mondo qui e adesso.


(www.libreriadelledonne.it; 14 gennaio 2015)

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