27 Novembre 2022

Abusi nella ginnastica ritmica: tre pensieri

di Annie Marino


Mentre i fatti si stanno ancora svolgendo e le procure sono impegnate a fare chiarezza, mi è capitato di riflettere sugli eventi che sono seguiti alla denuncia della ginnasta Nina Corradini.

Tre circostanze, in particolare, hanno dato impulso a queste riflessioni. La prima riguarda la dimostrazione di solidarietà nei confronti di Nina Corradini da parte della compagna Anna Basta, che si è unita alla denuncia. Anna si è mossa con agilità e coraggio, anticipando, con un post Instagram molto efficace, l’innesco dei farraginosi processi della burocrazia e delle federazioni, per verificare e rendere quindi immediatamente credibile e autorevole l’informazione veicolata nella denuncia di Nina. Anna ha condotto in questo modo un’operazione saggia: per prima cosa, infatti, attraverso la verifica immediata dell’informazione, è stato possibile evitare che la denuncia semplicemente si disperdesse tra le decine di notizie “ad alta risonanza” a cui tutti siamo esposti in questi mesi incredibili – di guerra e crisi sociale, prima che energetica. Di più, è stato possibile scongiurare un’altra conseguenza, quella opposta e più disastrosa, che la denuncia degli abusi fosse gettata in pasto alle opinioni, generalizzata, trattata come una cosa neutra e, infine, forse, deformata o sgonfiata, passando per l’ennesimo scandalo sportivo o, più probabilmente, per un caso isolato.

In questo, ciò a cui finora abbiamo assistito ripropone – con sapienza, come ho già scritto sopra – certe modalità di linguaggio e azione analoghe a quelle che abbiamo visto in opera con il Me Too, fenomeno più volte rievocato nel corso delle ultime settimane (si veda, per esempio, qui). È questa la seconda circostanza che mi ha spinta nuovamente a riflettere – più propriamente, essa ha determinato l’esigenza di una puntualizzazione.

La denuncia degli abusi subiti da Nina Corradini e Anna Basta non mette direttamente in discussione il contratto sessuale, non è quello il punto, il campo visivo appare sgombro dalla presenza degli uomini1 – fatta salva qualche comparsata, come quella del presidente del CONI, Giovanni Malagò. Non vedere o non riconoscere questo, significa negare che ci sono delle nuove domande.

Qui abbiamo delle giovani donne che hanno denunciato abusi – umiliazioni e incuria, con conseguenze gravi, che avrebbero potuto essere più gravi – da parte delle loro allenatrici e insegnanti: con che sguardo alcune allenatrici e insegnanti hanno guardato queste giovani donne? Quale valore hanno dato ai loro corpi e come lo hanno misurato2?

Per ultimo, mi sono chiesta quali e di chi fossero i desideri di cui quei corpi sono, in qualche modo, diventati un mezzo. Potrebbero essere sfuggiti a me, nell’analisi della vicenda, un passaggio chiave o una parola rivelatrice, ma mi sembra che il cortocircuito sia proprio al principio, cioè nel fatto che il desiderio non sia stato espresso o compreso chiaramente – sia esso, supponiamo, un desiderio di «trarre godimento dalla ginnastica ritmica praticata ai massimi livelli» da parte delle giovani donne oppure «di vincere tutte le competizioni» da parte delle allenatrici. Insomma, è macroscopicamente fallita una relazione, quella insegnante-allieva, che ha come presupposto l’affidamento e, al di fuori di questo, difficilmente può essere.

Questo, appunto, riguarda il principio. Adesso, la vicenda si trova al punto in cui un desiderio è stato espresso: «Io e Nina vogliamo fare la differenza. […] Io e Nina vogliamo dire basta al dolore, al terrore. Io e Nina vogliamo alzare la testa anche per chi non ha più forza, perché noi eravamo nella stessa situazione di chi ora non riesce a muoversi. […]»3. Queste parole scritte insieme da due donne, con forza e libertà ritrovate nella loro relazione, hanno modificato radicalmente i fatti.   

1 Un caso di Me Too nel mondo dello sport è stato invece quello che ha coinvolto Larry Nassar, medico della nazionale USA di ginnastica (di cui si può leggere qui o qui).

2 Miriam Patrese, insegnante di ginnastica ritmica e atleta, che si è dichiarata contraria alle pratiche denunciate, come quella della “pesatura in pubblico”, in un’intervista a Repubblica ha fornito degli elementi di contesto che possono agevolare la riflessione. Riporto un estratto significativo: «Tutti sanno che i giudici tendono a premiare la magrezza. Se non sei filiforme e magrissima vieni frenata. Fai un esercizio da oro, ma arrivi quarta se non hai tutti i centimetri a posto, se non hai sembianze da bambina. Gli allenatori? Loro si chiedono se sia giusto investire su una ginnasta se sanno che in gara verrà penalizzata […]».


3 Si tratta di un estratto dal post Instagram di Anna Basta già richiamato sopra.


(www.libreriadelledonne.it, 27 novembre 2022)

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