7 Settembre 2023

Agatha Christie, scrittrice della libertà femminile ma non del politicamente corretto

di Silvia Baratella


Leggendo l’articolo di Vanessa Roghi “Il caso Agatha Christie” del 12 agosto, ho ripensato all’autobiografia della scrittrice, “La mia vita”, che ho letto l’anno scorso e mi ha molto colpita. Vi traspare un grande senso di libertà femminile, sicuramente fondato sulla relazione con la madre, che stimava e ammirava moltissimo e la cui autorità risalta con chiarezza nell’opera. Ora noto di più e capisco meglio molti suoi personaggi femminili secondari, che restano sullo sfondo e spesso sembrano macchiette (non meno di molti personaggi maschili, Poirot e Hastings in testa), ma in fondo pur nel rispetto delle convenzioni fanno scelte di libertà e vivono secondo il proprio desiderio (per esempio coppie lesbiche che convivono, ufficialmente come ex-compagne di scuola). E il tessuto sociale che fa da sfondo alle sue trame è quasi sempre retto sulle relazioni – positive o negative, conflittuali o di buon vicinato, esemplari o ridicole – tra donne. La sua Miss Marple è una donna per nulla pentita del suo “zitellaggio”, sicura di sé e della sua ferrea logica, che si rivela ineccepibile pur procedendo per associazioni d’idee e saltando apparentemente di palo in frasca, senza sentirsi tenuta a rendere omaggio ad Aristotele e ai suoi sillogismi, né alle petites cellules grises tanto esaltate dal suo collega Poirot.

Tuttavia è vero che Agatha Christie era conservatrice. Dai suoi romanzi si capisce che crede fermamente nel ruolo sociale della repressione, che è favorevole alla pena di morte e che è convinta del valore etico della punizione. E, nonostante fosse una viaggiatrice curiosa, avventurosa e appassionata, aveva i suoi pregiudizi sugli stranieri e non credo che si possa ascriverli solo all’epoca in cui è vissuta, che è stata anche epoca di grandi ideali egualitari. Ma questo vale per la stragrande maggioranza dei romanzi dell’Età d’oro del giallo: avevano tutti le stesse caratteristiche razziste. Quelli britannici talvolta anche antisemite, e in quelli americani non c’è cameriera francese che non sia una sordida ricattatrice, non c’è messicano che non sia stupido, indolente e sottosviluppato, gli italiani sono pazzi inaffidabili, i greci loschi figuri eccetera. Agatha Christie, anzi, dà persino qualche segnale in controtendenza. Per esempio, ne Il mistero del treno azzurro (1928) c’è un ricettatore greco che aiuta Poirot, con cui è in debito di un antico favore, in nome del senso dell’onore della sua “stirpe”, di cui va orgoglioso: la stirpe è quella ebraica. Vanessa Roghi ci rivela di aver scoperto, confrontandole con le opere originali di Agatha Christie, che nelle traduzioni italiane del Ventennio sono state aggiunte abusivamente delle tirate antisemite inventate di sana pianta. Traduzioni che circolano ancora oggi, ci dice Roghi, e fanno torto a una scrittrice che ha pur sempre affidato il ruolo di protagonista al profugo belga Poirot, ridicolo finché si vuole ma comunque geniale e infallibile detective. Gli altri autori e autrici britannici e statunitensi dell’Età d’oro optano quasi tutti rigorosamente per eroi wasp* (con l’eccezione di Rex Stout, il cui Nero Wolfe è montenegrino).

Sarebbe dunque doveroso rivedere o rifare certe traduzioni d’epoca di Agatha Christie. Per ripristinarne lo spirito originale, però, non per travisarli con il filtro del nuovo spirito dei tempi, quello del “politicamente corretto”. Per intenderci: se la filastrocca inglese citata nel celebre titolo diceva “dieci piccoli negri”, dieci piccoli negri siano. Rappresentano i dieci personaggi con le cui vicende la scrittrice ci fa immedesimare, e non c’è intenzione offensiva.


(www.libreriadelledonne.it, 7 settembre 2023)


(*) acronimo inglese per “bianchi, anglosassoni, protestanti”.

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