di Clara Jourdan
«Aumentano le donne uxoricide», leggiamo su Metro, 4 ottobre 2019, che riferisce di uno studio coordinato da Isabella Merzagora, docente di Criminologia all’Università Statale di Milano: nelle province di Milano e di Monza, tra il 1990 e il 2017 si sono verificati 20 casi. «Un divario numerico enorme rispetto alle 172 vittime donne per mano di uomini negli stessi periodo e area geografica.» E si rileva «il raddoppio dei casi tra il primo e il secondo dei decenni considerati e un concentrarsi di più di un terzo negli ultimi 4 dei 28 anni esaminati». Notizia interessante: le mogli hanno cominciato a difendersi, allora! Sentite invece come hanno commentato le autrici e gli autori dello studio: «Sembrerebbe dunque iniziato un processo verso le pari opportunità uxoricide». Si direbbe solo una battuta di spirito, grottesca, se non fosse un’analisi universitaria e tutta improntata (da quello che emerge dalla notizia di Metro) al confronto con gli uomini in chiave di parità. Per esempio: «L’età media delle omicide è di 39 anni, in linea con la media per cui le donne diventano omicide in un’età più anziana rispetto ai maschi». Chissà come mai…
Se le studiose e gli studiosi accademici si togliessero il paraocchi della parità e guardassero i fenomeni almeno con il senso comune della differenza sessuale come la sperimentiamo nella vita di tutti i giorni, si renderebbero conto della realtà delle differenze di comportamento delle donne, e delle loro motivazioni. Invece di affermare che «uccidono spinte dalla malattia mentale da cui sono affette», capirebbero che forse per queste mogli uccidere il marito è sentita come l’ultima possibilità di sopravvivenza magari dopo anni e anni di violenze o persecuzioni, denunciate o meno.
Sono contenta che quello che fanno le donne susciti interesse anche di studio e ritengo importante che venga fatto conoscere dai mass media, ma smettetela con la fissa della parità, suona sempre più fuori dal mondo.
(www.libreriadelledonne.it, 9 ottobre 2019)