3 Luglio 2019

Domani si riparte

di Luisa Muraro


Introduzione al Convegno femminista CAMBIO DI CIVILTÀ, Milano, sabato 18 maggio 2019.


Ben arrivate alla Fabbrica del vapore, nella mostra Vetrine di libertà. Per chi ha viaggiato questo posto è un meraviglioso punto d’arrivo. E anche di partenza. Domani si riparte.

A volte, per ragionare sul femminismo, mi aiuto pensando a due altri grandi movimenti di cui conosco la storia, il comunismo e il cristianesimo.

È un confronto istruttivo, mi suggerisce parecchie idee ma per essere breve segnalo solo due punti in cui vedo una eccellenza del femminismo. Sono: – farsi mondo senza cancellare le differenze; – espandersi nel tempo e nello spazio senza farsi usare dal potere (o: senza diventare potere).

Il femminismo che ci ha portate fin qui, a questo incontro, è cominciato in tempi migliori di questi, gli anni Sessanta. “I meravigliosi anni Sessanta”, li chiamava Iris Murdoch, filosofa e romanziera di lingua inglese.

I tempi sono cambiati. Quanto? quanto basta perché si debba parlare di un cambio di civiltà, cioè molto. A viverlo da dentro (guardate che nessuno ne è fuori, nessuno) il cambiamento si vede e non si vede, ma fa paura. Eppure, ogni tanto io mi sento di poter dire che il cielo mi ha regalato una vecchiaia felice. L’impresa della mia vita fiorisce.

I fattori principali dei grandi cambiamenti in corso li conosciamo. C’è la rivoluzione tecnologica del digitale (la Rete, i social, la posta elettronica, la robotica…) e c’è il trionfo del capitalismo globale di tipo finanziario che ha unificato il mondo.

Queste cose sono venute dopo il Sessantotto e dopo gli inizi del femminismo. Non previste, non dico di colpo ma quasi.

Il Sessantotto è stato il penultimo tentativo di cambiare l’economia capitalistica. L’ultimo è stata la grande manifestazione No Global di Genova 2001. Entrambi falliti. Subito dopo sono cominciate le guerre imperialistiche ancora in corso, c’è stata una grave crisi economica e si sono intensificate le migrazioni di gente minacciata dalla guerra o dal bisogno.

È straordinario che il femminismo di quegli anni sia arrivato fino al presente e si sia rafforzato. È molto cambiato, ovviamente. E molto deve ancora cambiare. Porterò un esempio di prima grandezza. La rivoluzione del digitale ha modificato in profondità i modi di relazionarsi tra noi esseri umani e con il mondo, e questo fatto, esattamente questo fatto, incide sui rapporti tra grandi potenze (Usa, Cina, Russia…) e incide sui rapporti tra quelle che fanno o frequentano la Libreria delle donne – lo stesso fatto, ripeto. Le classiche mediazioni che facevano reale il reale, tempo e spazio, non contano più: evaporate. Il che crea problemi che sentiamo ma di cui non sappiamo misurare l’entità e neanche la vera natura. Nessuno lo sa.

È questa un’occasione favorevole? Se non lo è, bisogna che lo diventi. Se afferriamo questo senso di necessità, smetteremo di essere quelle che discutono pro o contro e diventeremo quelle che inventano nuove risposte politiche. Prendiamo il separatismo: abbiamo smesso di praticarlo quando si è costituita società femminile dotata di indipendenza simbolica. La pratica resta buona per alcune, il suo significato è buono per tutte, è l’indipendenza simbolica.

Con questo sentimento dentro, senza capricci né chiacchiere, io mi sento di dire, come mia esperienza vissuta e come sfida per il tempo presente, che la scommessa politica del femminismo resta aperta ed è guadagnante. Con parole mie, che molte altre condividono, ecco la scommessa: che ci sia libertà femminile a questo mondo e che ogni donna possa cercare liberamente la sua autorealizzazione umana (la sua felicità). La si cerca alle condizioni date e, se le condizioni date fanno ostacolo, si comincia o la lotta o la contrattazione.

La scommessa del femminismo non è mai stata né ovvia né pacifica. È stata subito interpretata, in buona o cattiva fede, come se la nostra fosse una richiesta di parità con gli uomini, cioè in modo riduttivo. Io lo trovo umiliante. Tutte quelle statistiche per vedere se le donne… Qui si combatte la battaglia decisiva dello stendardo. Scrivete sul vostro stendardo: Non è uguaglianza quella che fa dell’uomo la mia misura, non è libertà quella che confina il mio desiderio nel suo orizzonte.

Se parlo di differenza sessuale, non protestate in nome di sofisticate teorie. Intendiamoci, non le escludo: il fatto biologico e culturale della sessuazione che diventa genere sessuale, che diventa cultura (patriarcale o no), che diventa arte, che diventa politica, che diventa noi qui, è qualcosa di una affascinante complicatezza e servono anche le sofisticate teorie per cercare di capire. Ma, prima, diciamo le cose basiche che sono di aiuto alla presa di coscienza. Io sono una donna. Poi stiamo a vedere.

Dire “io sono una donna” è un atto performativo che si iscrive nella politica del simbolico. È una mossa in un campo di battaglia. Mi spiego: dicendolo metto in evidenza e do valore a questo corpo sessuato che è il mio, così come si presenta. E lo situo in un discorso che è anche un campo di battaglia dove la posta in gioco è generare valore non mercantile, sottrarre la vita e il vivente ai calcoli del profitto. Questo punto ci porta a contatto con le lotte per salvare il pianeta e i viventi che lo popolano. Non si va con questo alla coincidenza ma c’è indubbiamente una profonda risonanza tra questi due movimenti, una risonanza speciale.

Forse il mio tempo è finito. Mi restano due cose da dire, che forse è una sola. Il femminismo non è uno scopo. Sottolineare la sua durata non dimostra la sua superiorità. Il femminismo (oserei dire: come tutte le cose umane), è efficace come agire politico, è valido come pensiero e può migliorare la tua vita, se lo vivi con il sentimento di una parzialità non escludente. C’è altro, Ci sono altri modi di essere, di pensare, di agire. Tu sii fedele a quello che desideri, a quella che sei, a quello che giudichi buono, ma non farne un assoluto. C’è altro… ma dove? Probabilmente dentro di te, sicuramente ci puoi arrivare da dentro di te. Lo chiamo in inglese the Inner Passage.


(www.libreriadelledonne.it, 3 luglio 2019)

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