20 Giugno 2019

Fermiamoci a ringraziare Ilaria Cucchi

di Luisa Muraro


Ilaria è la sorella di quello Stefano che, dieci anni fa, caduto nelle mani delle forze dell’ordine (per questioni di droga), gravemente maltrattato dai suoi custodi, poco o niente curato dai medici, è morto solo come un cane, recluso nel reparto speciale di un ospedale pubblico. Tutto questo nell’arco di una settimana. I pochi che ebbero il permesso di vederlo morto, si trovarono davanti un cristo appena schiodato dalla croce: magrissimo, viso tumefatto, vertebre rotte, organi interni malandati.

Dopo di che sulla scena pubblica cominciò la commedia di una finta o vera (va a saperlo, con tutte quelle persone), ricerca delle responsabilità e per anni e anni, fra inchieste, carte, perizie, autopsie, processi, false piste e veri depistaggi, noi siamo stati sul punto di pensare che, in definitiva, la colpa era sua, di lui, Stefano Cucchi, o di nessuno, che era lo stesso. Noi chi? Tutti quelli che assistevano alla ricerca e forse anche una parte di quelli che vi partecipavano (per il racconto di tutta la storia, vedi Carlo Bonini, Il corpo del reato. Il caso Cucchi: 2009-2019. Una storia di violenza del Potere, ed. Feltrinelli/la Repubblica).

Ma Ilaria, la sorella, voleva la verità perché fosse fatta giustizia, e ha continuato a lottare. Per vincere la nostra indifferenza, portava in piazza la gigantografia del viso martoriato di Stefano: guardatelo. Tempo fa ha detto di sé: «Non so che donna sono diventata, non so come sarò quando il mio compito sarà terminato. Ma so che questo è il mio compito e, costi quel che costi, lo porterò a termine.» E così ha fatto.

Ilaria Cucchi non è mai stata sola: oltre ai genitori, ha sempre avuto al suo fianco donne e uomini di buona volontà che l’hanno aiutata. Lei, a sua volta, li ha guidati con la forza di un sentimento che le apparteneva in proprio, l’amore per il fratello. Hegel, il più grande filosofo dei tempi moderni, parlando della famiglia e dei suoi limiti, ha scritto: «Ma tra fratello e sorella ha luogo la relazione pura» e da qui tutta una meravigliosa descrizione di questo rapporto in cui «l’elemento femminile ha, come sorella, il più alto sentore dell’essenza etica», ossia un sentimento interiore di natura divina. Che però, proprio per questa sua natura, non ha efficacia politica, secondo il filosofo (Fenomenologia dello spirito, 2, vi A.a).

Hegel si ispira alla figura di Antigone che va contro la legge della città per seppellire degnamente il fratello morto, e sarà punita. La sfida di Ilaria è simile, anche lei, mossa dall’amore del fratello, vuole che non finisca sepolto sotto una finta ricerca della verità, nella crescente indifferenza del pubblico. E che abbia invece una degna sepoltura nel ricordo comune.

Ma Ilaria Cucchi ha seguito una diversa strategia, che si è dimostrata efficace. Lei ha sfidato la città (cioè noi, l’opinione pubblica, la magistratura, i mass media) ad applicarla, la legge. Ha sfidato l’indifferenza, il moralismo, la pigrizia, l’opportunismo, il cinismo… tutto quell’impasto di egoismo e sfiducia che ci pesa dentro e immiserisce la vita pubblica. Lei, con la sua fiducia nutrita di passione, ha trasformato quello che si stava riducendo a un ingarbugliato affare di mala sanità e mala giustizia, in una limpida questione di verità e di giustizia.

In ciò io vedo non solo un ammirevole esempio, ma anche una lezione di politica, questa: impariamo a nutrire le grandi pretese con la forza del voler bene, e viceversa.

Bene, e dopo? Ora che sappiamo come sono andate le cose, c’è da fare giustizia, ma come? Può sembrare strano, ma la risposta alla questione è rimasta negli stessi identici termini che troviamo in Hegel. La responsabilità del fare giustizia, una volta trovato il colpevole, è dello Stato che a questo scopo dispone di tutto il potere necessario e ha il monopolio della violenza. Stefano Cucchi è morto per la violenza di un Potere che adesso gli renderà giustizia negli stessi identici modi: qualcosa non quadra… La sorella ha detto: questo è il mio compito e lo porterò a termine. Lei ha fatto la sua parte e ci ha dato più che un esempio, anche una lezione, ora tocca a noi andare avanti, verso quel traguardo politico di cui conosciamo almeno la formula: il massimo di autorità con il minimo di potere.


Nota: su quest’ultima parte del testo, si può leggere Femminismo giuridico. Teorie e problemi, di Anna Simone, Ilaria Boiano, Angela Condello, ed. Mondadori; L’Europa di Simone Weil – Filosofia e nuove istituzioni, a cura di Rita Fulco e Tommaso Greco, ed. Quodibet (in uscita). Di quest’ultimo segnaliamo specialmente il testo di Wanda Tommasi.


(www.libreriadelledonne.it, 20 giugno 2019)

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