23 Giugno 2022

Grazia Villa interviene nel dibattito sulla prostituzione

di Grazia Villa


I commenti di Laura Colombo e Tiziana Nasali all’intervento di Federica D’Alessio sul disegno di legge presentato dalla senatrice Alessandra Maiorino, ispirato al cd. modello nordico, recentemente pubblicati sul sito della Libreria, mi spingono a prendere parola ancora sul tema prostituzione.


Un percorso politico

Dagli incontri in Libreria delle donne del 2018 e dopo la diffusione di Stupro a pagamento di Rachel Moran e di Il mito Pretty Woman di Julie Bindel sono nate e cresciute relazioni, pensieri e azioni politiche.

Un dibattito sempre aperto: dalla domanda Quanto ci tocca la prostituzione? del saggio di Luciana Tavernini nel libro Né sesso né lavoro all’affermazione «la prostituzione ci riguarda tutti e tutte» dell’incontro di Via Dogana 3.

Con le molte presentazioni di questi tre libri si sono rafforzate le relazioni già esistenti, come quella con le attiviste di Resistenza Femminista, e ne sono sorte di nuove con donne di altre associazioni e gruppi femministi, non già come mero agglomerato di sigle, ma attraverso relazioni duali che si sono consolidate e hanno determinato uno spostamento di orizzonti e un agire politico condiviso. Tra queste: la nascita all’interno dell’Osservatorio interreligioso sulla violenza contro le donne del gruppo Prostituzione che ha messo a tema il rapporto tra religione, patriarcato e prostituzione; la costruzione di una Rete abolizionista, con la stesura di un Manifesto per abolire la prostituzione.

Lo spostamento maggiore credo sia stato determinato dalla scelta di dare autorità alla parola delle sopravvissute e di organizzare con loro seminari e incontri on line, di andare nelle scuole per coinvolgere ragazze e ragazzi e infine di prendere in esame anche le proposte di legge abolizioniste, compresa ora quella presentata dalla senatrice Alessandra Maiorino.

Non è la prima proposta ispirata al modello nordico, come ho avuto modo di analizzare in Né sesso né lavoro, ma oggi assume un carattere di originalità forse più che per alcuni contenuti, per l’iter seguito nella sua stesura.

La presentazione del ddl trae origine, per la prima volta dopo l’approvazione della legge Merlin, da una poderosa indagine del Senato e da una lunga serie di audizioni, sulla spinta degli esiti della sentenza della Corte costituzionale del 2019 che ha riaffermato la legittimità della stessa legge Merlin, riconoscendo di fatto la sua attualità e applicabilità.

Prima di giungere al deposito del disegno di legge sono stati organizzati numerosi confronti, anche vivaci, che hanno coinvolto molte donne impegnate nella lotta per l’abolizione della prostituzione, la maggior parte slegate dall’appartenenza politica della stessa senatrice.

Ho avuto modo di partecipare a questi incontri, tutti diretti ad analizzare il fenomeno prostitutivo, dove sono stati ribaditi i suoi legami con il patriarcato e le logiche mercantili e si è affermato con forza che nessuna distinzione può essere introdotta tra prostituzione libera o coatta, entrambe basate «sulla taciuta disponibilità del corpo femminile per un maschio pagante». È stata assunta soprattutto la forte nominazione dell’atto prostitutivo come stupro a pagamento, come atto di sopraffazione violenta in sé, indipendentemente dalle circostanze in cui si consuma, con la conseguente scelta di smascherare la falsa rappresentazione del sex work.

Da qui l’interrogativo sulla necessità o meno di modificare la stessa legge Merlin e sull’opportunità di introdurre in Italia il “modello nordico”.

Anche all’interno di questo dibattito si è posta la questione messa a fuoco negli articoli di Laura Colombo e di Tiziana Nasali, spesso sollevata direttamente da parte mia, sull’efficacia di un rafforzamento del sistema sanzionatorio in materia di prostituzione e sulla necessità di allargare la fattispecie di reato prevista dall’art. 3 della legge Merlin con l’introduzione di uno strumento repressivo che non riguardasse solo i reati connessi allo sfruttamento della prostituzione, bensì anche il mero acquisto di prestazioni sessuali. 

L’interrogativo riguarda tutte le conseguenze giuridiche da trarre, una volta abbracciata la definizione di stupro a pagamento e di violenza sessuale per l’atto prostitutivo, consegnatoci dalle donne sopravvissute al sistema prostitutivo. Tutto ciò rispetto all’ordinamento esistente, al diritto penale e alla sua efficacia deterrente, a normative fortemente segnate dal diritto sessuato al maschile, al rischio del legiferare sui corpi delle donne.

L’esperienza maturata da molte di noi in materia di violenza contro le donne (sessuale, domestica, psicologica, economica) fino al femminicidio, circa la problematicità del rapporto tra diritto punitivo dei comportamenti maschili e la mancata diminuzione dei reati, tra la condanna sociale che passa dalla censura di una codificazione alla reale presa di coscienza degli uomini del disvalore della violenza maschile, ci metteva in guardia sulla scelta di optare per una nuova fattispecie di reato, ma non poteva esimerci dal confronto con lo strumento penale, una volta acceduto al termine… “stupro”.

Il dubbio riguardava la valutazione proprio dello spostamento, anche sul piano simbolico, del focus dalla “vittima” al “cliente” (tutti termini virgolettati perché pronunciati solo per poi bandirli) attuabile attraverso la sanzione, pur se graduata, del cd. acquisto di prestazioni sessuali: se, come e quanto possa contribuire ad aumentare una possibile presa di coscienza degli uomini prostitutori, nella certezza comunque che nessuna legge possa sostituire tale processo di autocoscienza!

La legislatrice ha sottoposto, anche su questo punto, il testo di legge al vaglio di sopravvissute, giuriste, operatrici dei centri antiviolenza, esperte sulle diverse applicazioni del modello nordico in Svezia, Norvegia, Francia.

Dopo una prima direzione di proporre una nuova legge in materia di prostituzione, anche grazie a questi serrati confronti, la scelta è stata quella di salvaguardare non solo lo spirito, ma anche l’impianto della Legge Merlin, ritenuta non sacrificabile, ancora attuale, un vero e proprio faro non solo nella disciplina in materia, ma anche per la sua posizione rivoluzionaria sul rapporto tra i sessi.

La decisione pertanto è stata quella di mantenere intatta la disciplina dell’art. 3 della stessa legge aggiungendo un art. 3/bis che prevede l’introduzione della punizione di chi «compie atti sessuali con persone che esercitano la prostituzione, in cambio di un corrispettivo in denaro o altra utilità».

In un primo tempo con la sola sanzione amministrativa, seguita da una ammonizione prefettizia in caso di comportamenti “non episodici”. La sanzione penale scatterebbe successivamente in seguito alla reiterazione di tali comportamenti, in violazione della stessa ammonizione prefettizia.

Non tutte queste soluzioni di tecnica legislativa sono state condivise, alcune potrebbero ancora comportare dei correttivi in sede di approvazione del disegno di legge.

In particolare le osservazioni sollevate da parte di alcune di noi avvocate riguardano la decisione di ricorrere al meccanismo dell’ammonizione prefettizia, già utilizzato per lo stalking e rivelatosi pressoché fallimentare, nonché ai percorsi di recupero del prostitutore assimilati a quelli destinati alla violenza (ahimè ormai definita di genere), che non sempre hanno portato frutti di cambiamento né comportamentale, né sociale, soprattutto se utilizzati malamente come scorciatoie rispetto all’applicazione della pena e quindi eliminando anche l’effetto deterrente della stessa.

Quindi alcune delle osservazioni e criticità espresse negli articoli pubblicati sul sito della Libreria sono non solo condivisibili, ma sono state oggetto di esame e hanno trovato soluzioni a volte accettabili, altre ancora perfettibili.


Interrogativi per un confronto

Qui vorrei riprendere invece le argomentazioni che mi hanno lasciato perplessa e che mi inducono a porre ulteriori interrogativi per riaprire eventualmente un confronto libero.

Il dibattito sulla prostituzione riguarda il tema della libertà sessuale (addirittura della libertà femminile!) oppure riguarda la violenza e la mercificazione dei corpi delle donne? Si tratta di autodeterminazione o di stupro a pagamento?

Se dalle donne alla cui parola abbiamo dato autorità, lo scambio sesso-denaro viene sempre considerato un atto di sopraffazione, qualificato come violenza e come stupro, la sua punizione entra nel merito della relazione tra i sessi oppure si limita a sanzionare la commissione di un reato?

Il modello nordico è un modello proibizionista? Il suo scopo è veramente quello di reprimere il desiderio sessuale maschile, proibendone o limitandone le pur sempre lecite e libere pulsioni? Non interviene invece sul potere, sul rapporto di forza sottostante al diritto di comprare e sottomettere al mercato la libertà sessuale?

La nuova disciplina legifera sui corpi delle donne oppure sulla mercificazione dell’atto sessuale al di là dello sfruttamento? Si entra ancora «nel merito dell’intimità del corpo» come accadeva prima della legge Merlin, con l’invasività sui corpi delle donne ad opera del sistema poliziesco, cui fa riferimento Silvia Niccolai (citata)?

La legge Merlin ha ordinato la chiusura delle case di prostituzione entro soli sei mesi di entrata in vigore della legge, con sanzioni pesanti per l’inottemperanza, ha introdotto fattispecie penali ad hoc sulla prostituzione, mentre i suoi detrattori ritenevano sufficienti le disposizioni del codice Rocco (vedi ancora Niccolai), possiamo affermare allora che «abbia fatto un vuoto normativo»?

Certamente è un esempio di diritto sessuato femminile, ma possiamo annoverarla tra le disposizioni di un diritto leggero? Se è vero che non ha legiferato sui corpi, ma agendo sul meccanismo dello sfruttamento e della sua dura punizione, non ha introdotto un di più di normazione, anziché un di meno, attingendo alle regole di un diritto “forte”?

Una norma penale crea sempre un soggetto debole da proteggere? Alcune disposizioni di diritto forte sono a salvaguardia della dignità umana, della vita del pianeta, del futuro delle generazioni e sono dunque a sostegno della forza e non già della debolezza: nel caso della prostituzione non vanno forse nella direzione di sostenere chi intraprende un percorso di liberazione e di sottrazione al potere maschile, per cui esigere una punizione e una riparazione diventano espressioni di autonomia e non già di vulnerabilità?

Alla stessa direzione, infine, sono da ascrivere le altre novità del disegno di legge Maiorino tutte orientate a rafforzare i percorsi di uscita dalla prostituzione, altro baluardo del modello nordico, poco conosciuto e meno menzionato rispetto al contestato volto della repressione, in realtà vitale per il riscatto delle donne che decidono di liberarsi da violenze e schiavitù.

Le domande che mi sono permessa di porre sono forse retoriche e sottendono una mia posizione, c’è ancora molto su cui ragionare, magari insieme a chi ha intrapreso un percorso frutto di una pratica politica tra donne, nata dal desiderio di mettere in atto un diritto esperienziale, il più possibile sottratto al diritto sessuato maschile.

Certamente questa pratica politica non potrà avere né come unico scopo, né come obiettivo principale l’approvazione di una legge, come sappiamo strumento utile, a volte necessario, a volte dannoso, a volte da eliminare, sul quale sempre vigilare con un «pensiero operante», anche questo un lascito di Lina Merlin.

Nel difficile rapporto tra diritto positivo e corpi delle donne rimangono in sospeso molte disposizioni, oggi quelle sulla GPA o sulla cd. “identità di genere”, che hanno generato e genereranno ancora conflitti, anche tra donne, magari le stesse protagoniste del percorso narrato.

Le relazioni politiche che abbiamo costruito potranno creare uno spostamento anche in queste materie? Lo scopriremo, se decideremo di non sottrarci alla sfida!


(www.libreriadelledonne.it, 23 giugno 2022)

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