7 Maggio 2021

La carrettina verde e il Ponte di corpi

di Silvia Marastoni


In vista del prossimo incontro zoom con Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi (Libreria delle donne di Milano, 12 maggio 2021, ore 20.30-22.30) pubblichiamo il testo dell’invito rivolto a donne e uomini per dar vita, il 6 marzo scorso, a “Un ponte di corpi”.

Un’iniziativa che ha attraversato l’Italia “dal sud al nord, dall’est all’ovest”, e “si è spinta dentro l’Europa, fra le frontiere”, coinvolgendo 36 diverse città, dai confini occidentali spagnoli a quelli orientali, in Grecia, “mentre una farfalla gialla volava sopra i reticolati”.

La “carrettina verde” che da quasi due anni, ogni giorno, Lorena Fornasir porta in Piazza della Libertà – da lei rinominata Piazza del Mondo – insieme a suo marito, Gian Andrea Franchi e alle volontarie/ai volontari che condividono la loro “impresa” ha “pensato di fare il gesto simbolico e concreto di invitare un gruppo di donne sul confine più violento, più mortifero, quello della Croazia che si erge ad antemurale dell’Europa contro l’estraneo, contro il migrante, il profugo”. Per portare anche lì, su quel confine, la voce e il simbolo di una pratica di accoglienza che è politica della relazione di matrice femminile e materna, fondata sulla cura a partire dai corpi.


“Un ponte di corpi”


C’è un carrettino verde che tutti i giorni si porta sulla piazza del mondo (*) per accogliere chi riesce a varcare il bordo mortifero del confine. Conserva storie di corpi e di dolore e, tra le sue bende e pomate, la memoria di una pratica della cura che le donne conoscono bene. La donna, con il suo corpo pensante, è l’anticonfine per eccellenza. Contiene in se stessa la negazione del confine poiché è un corpo naturalmente aperto alla generatività, alla creatività, al pensiero sorgivo, al perturbante che la abita come intima estraneità. Il carrettino della cura ha scritto un manifesto per convocare donne e uomini a chiedere l’apertura delle frontiere.

Le donne, soprattutto loro, ma non solo, sono chiamate ad assumere il mandato che altre donne, madri, sorelle amiche, compagne, hanno trasmesso in modo tacito alle donne di questo altro mondo che noi abitiamo. Si tratta di una eredità che scorre sul filo del legame che accomuna la nascita, la vita, la sopravvivenza, purtroppo anche la morte ma dove l’amore tiene assieme i legami spezzati da una parte all’altra del mondo. Chi è mandato in salvezza, il figlio o uomo di altre terre, bimbo o minore solo, può trovare altre mani che lo accolgono e lo accompagnano nel desiderio di una vita degna di essere vissuta.

Perché corpi di donne sui confini? Perché il corpo femminile è il corpo attraverso cui si ri-produce la vita e il confine è uno di principali dispositivi che la controlla e la violenta. Perché il confine è profondamente androcentrico, dato che l’antica inferiorizzazione della donna dipende dalla volontà di controllo del maschio che nasce dalla paura della vita e quindi dal bisogno di dominarla.

Il gesto del carrettino verde, in verità una carrettina dedita alla cura, è un gesto che rimanda alle radici arcaiche del dominio dell’uomo sulla donna, di cui il confine è oggi un dispositivo caratteristico in quanto impedisce il libero movimenti dei corpi che vengono da luoghi di morte, di cui l’Occidente porta la responsabilità.

Noi vogliamo portare un segno di vita sul confine e contemporaneamente in molti luoghi in cui donne e uomini si riconoscono nella pratica della cura. Dopo più di un anno passato a curare centinaia di corpi, di piedi di cammino, feriti dal cammino, dall’impedimento del cammino, dall’inseguimento di chi cammina proveniente da luoghi di morte per cercare di vivere una vita degna, il carrettino verde ha pensato di fare il gesto simbolico e concreto di invitare un gruppo di donne sul confine più violento, più mortifero, quello della Croazia che si erge ad antemurale dell’Europa contro l’estraneo, contro il migrante, il profugo, che viene spinto dal suo bisogno-desiderio di vita, a dirci, ben al di là della sua consapevolezza, che anche noi non viviamo se abbiamo paura di lui, che la nostra vita agiata è ben misera cosa se non sa aprirsi all’altro, se non è un tessuto di solidarietà.

Con il nostro corpo di donne su un confine di morte vogliamo dire che il migrante è portatore di vita, ciò che va ben oltre la ricerca di un luogo in cui poter lavorare e vivere tranquillamente e che l’accoglienza è un gesto di vita non solo verso i migranti ma verso di noi, verso tutti.

Noi siamo coloro che dicono no alla paura e all’odio per lo straniero, per il diverso, per l’altro, perché da sempre noi donne siamo state considerate inferiori all’uomo.

Noi siamo coloro che maledicono i confini perché quelle strisce di terra o di mare sono bagnate di sangue, selezionano chi può passare e chi no, chi può vivere e chi può morire, chi può essere torturato e chi può essere deportato. 
Noi siamo coloro che vogliono gridare la voce della maternità, che è la voce della solidarietà, della vita che donne di altre terre hanno generato, consegnandola alle donne di questo mondo affinché la conservino e la promuovano.


(*) Piazza Libertà di fronte alla stazione di Trieste è il luogo dove arrivano i migranti dalla rotta balcanica


(www.libreriadelledonne.it, 7 maggio 2021)

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