di Marina Terragni
Leggo con molto interesse il testo firmato “una singolarità maschile”.
Voglio replicare, e non solo perché vengo menzionata. Avrei desiderio di interloquire in ogni caso, la questione l’ho molto a cuore.
Intanto mi spiace per il “fastidio”: l’avevo messo in conto, ma non parlavo con l’intenzione di procurarlo. La cosa mi era indifferente. Parlavo, quando ho parlato, come se “lui” e altri uomini non ci fossero.
Ribadisco alcune cose già dette nel corso di quella discussione. Come tante sono stata vivamente interessata a un femminismo “con gli uomini”, diciamola così, o a una politica di differenza. Ho osservato con attenzione, ho anche partecipato a iniziative che assumevano la differenza sessuale maschile. Poi è capitato qualcosa.
Un percorso – quello di Maschile Plurale – messo brutalmente alla prova dai fatti, e da un fatto in particolare. Dall’altro lato, certi nuovi femminismi che subiscono una fortissima pressione maschile: gli uomini vogliono esserci, nelle manifestazioni, nelle riunioni, ai tavoli di lavoro, vogliono partecipare alla definizione di issues e agende politiche, fino alla – decisiva – scelta del lessico. Non a latere o in coda, ma al centro, nella più classica delle posture maschili.
Dove c’è un uomo in mezzo alle donne, l’impulso a “fare ordine” e ad ammaestrare, quando non a dominare, si mostra in tutta la sua irresistibilità (un tratto della differenza maschile).
Un femminismo per tutti, ma che non è il tutti di Carol Gilligan quando parla dell’«estendersi della causa del femminismo, dalla liberazione delle donne al rendere liberi tutti». Si tratta piuttosto di un tutti che impone la neutralizzazione e l’indifferenziazione sessuale.
In alcune realtà, negli Usa in particolare, rivendicare spazi riservati alle donne è diventato scorretto e discriminatorio: perfino i “Vagina Monologues” non possono essere più rappresentati. Ma se la differenza femminile non può (più) essere detta, cade ogni presupposto per provare a dire quella maschile. Si può dire solo il neutro (maschile). Cioè sono io a dovermi cancellare, una nuova figura fenomenologica per la solita vecchia storia di sempre.
Nel femminismo anglosassone, in particolare tra le cosiddette RadFem, è ripartita una vigorosa lotta neo-separatista. La si può leggere come un passo indietro, a mio parere si tratta di un passo necessario in attesa di tempi migliori. E i tempi migliori non sono certo questi in cui tutto, a cominciare dal mercato, spinge furiosamente in direzione del neutro o meglio, come lo chiamava un uomo – Ivan Illich – del neutrum oeconomicum.
L’alternativa al chiasso prodotto dalla differenza maschile che è il mondo così come lo conosciamo non può certo essere la grancassa del mercato neutralizzante: siamo abbastanza forti da sapergli resistere, dove ci mettiamo lì insieme nel femminismo, uomini e donne?
Io dico di no.
Poi lasciami dire, caro Maschile Singolare, la delusione di certe “introduzioni” maschili ai nostri incontri, e lasciami dire anche che se io, per mia natura, ho sufficiente baldanza da saper rischiare di infastidirti, altre invece questa baldanza non ce l’hanno, magari dicono una parola in meno o nessuna parola, o temono il giudizio, evitano di dispiacere, talora si spingono perfino a compiacere.
Ti ho risposto in poche righe: troppe per un testo online, poche per mettere a fuoco la questione della scomparsa del genere, che sempre l’uomo Illich definisce «un cambiamento della condizione umana che non ha precedenti».
Mi sento, di fronte a questa sfida, molto più vicina alle scelte politiche delle RadFem che a quelle di alcune amiche della Libreria.
Ma va bene, i conflitti sono vitali.
(Libreriadelledonne.it, 02/08/2017)