3 Dicembre 2020

L’avvocata che non vuole difendere il femminicida

di Tiziana Nasali


Ho appreso con grande piacere dalla stampa che l’avvocata Rosanna Rovere ha deciso di rinunciare alla difesa di Giuseppe Forniciti, reo confesso di aver ucciso la compagna Aurelia Laurenti. Ho ascoltato con interesse le motivazioni da lei addotte: Rovere dichiara di aver rifiutato «nell’interesse dei diritti dell’assistito e dell’imparzialità della legge», in quanto per la sua storia fatta di impegno per la difesa delle donne non poteva «garantirgli quello che qualunque cittadino merita: un legale capace di agire senza retropensieri». Dichiara anche che la sua è stata una scelta sofferta in quanto «da avvocato il diritto alla difesa è sacro ed è garantito dalla Costituzione».

La sua argomentazione è molto centrata sul diritto costituzionale e sulle regole della buona deontologia professionale, tuttavia il suo a me sembra un gesto ben più audace, di rottura: lei donna, fedele al suo intimo sentire, al suo sesso, si prende l’autorità di dire di no alla difesa di un uomo accusato di un reato contro le donne e si prende l’autorità di dirlo pubblicamente, a sancire la fine del sistema patriarcale.

Sistema difeso invece dal presidente dell’Unione delle Camere penali del Veneto, il trevigiano Federico Vianelli, le cui critiche vertono non tanto sul rifiuto di Rovere alla difesa quanto sulla sua presa di posizione pubblica: «Nessuno di noi vuol mettere in discussione la libertà del difensore di fiducia di accettare o non accettare un incarico difensivo… Ma questa libertà non può tradursi nel rilasciare pubbliche dichiarazioni sulle ragioni della mancata accettazione dell’incarico, perché ciò può pregiudicare la posizione giuridica dell’indagato/imputato… ed al contempo getta una pericolosa ombra sulla figura ed il ruolo dell’avvocato».

Ebbene è proprio la presa di posizione pubblica che rende significativo il gesto di Rovere: Vianelli non considera che essendo la legge, anche la Costituzione, frutto di una pratica del diritto e dei rapporti sociali fra uomini, ed essendo il rapporto fra i sessi ancora squilibrato simbolicamente a favore degli uomini, una donna che non si fa guidare dalla presunta oggettività delle regole giuridiche e deontologiche, non fa altro che rimediare allo squilibrio della legge e affermare un principio che non è ancora inscritto nell’ordinamento giuridico.

Rovere dice: «non è una decisione nel mio interesse come potrebbe sembrare, è una tutela soprattutto per l’assistito». Io vedo nel suo rifiuto, un gesto politico nell’interesse delle donne – e anche degli uomini interessati a modificare il rapporto con le donne e a riflettere sulla loro sessualità. E il diritto costituzionale alla difesa? Chiaro che debba essere garantito: se tante e tanti imitassero il gesto di Rovere, la difesa d’ufficio potrà venire in soccorso di qualsiasi imputato di reati contro le donne… 


(www.libreriadelledonne.it, 3 dicembre 2020)

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