1 Giugno 2017

L’impersonale sessuato e la politica

Un intervento per l’incontro di Torreglia 2017

di Umberto Varischio

Nel “laboratorio politico” rappresentato dall’annuale incontro di Torreglia anche quest’anno, come in tutte le scorse edizioni, la politica è al primo posto. Si tratta di una scelta, meditata da chi l’incontro organizza o collabora a organizzarlo, che è strettamente legata alle loro pratiche e alle loro riflessioni.

Parlando di politica mi è venuto il desiderio di riprendere alcuni testi del passato, più o meno recente. In particolare mi riferisco a quello presentato, purtroppo per procura, a un seminario di Diotima del 2006: si tratta di Impersonale della politica di Angela Putino.

Come già avvertiva S. Weil, quando si parla d’impersonale non ci si riferisce a un essere disincarnato. L’impersonale può essere rappresentato da “lui”, da un “egli”, da quell’uomo (o donna) specifico, che ha quel viso, quella testa, quel corpo e non certo da un “noi” che, al pari dell’”io”, va rifiutato. Nelle parole di Weil: “Chi è penetrato nell’ambito dell’impersonale vi trova una responsabilità nei confronti di tutti gli esseri umani. Quella di proteggere in loro non già la persona, bensì ogni fragile possibilità nell’impersonale che la persona ricopre”.

Weil non concepisce l’impersonale come un’anti-persona e inoltre compie una rotazione di punto di partenza della politica: da un riferimento ai diritti della persona a quello di giustizia e di obblighi nei confronti di tutti gli esseri umani.

Anche in questo caso non ci si riferisce alla giustizia con la G maiuscola, quella che troneggia nei tribunali e nelle istituzioni come dea bendata che non guarda in faccia a nessuno e bilancia i meriti e i torti, ma di quella molto più umana che permette ad Antigone di ribellarsi a dettami della legge della città e permettere la sepoltura di suo fratello; anche se si tratta di un nemico della città stessa.

Qui si scompagina una logica guerresca che stabilisce lo schierarsi su due fronti contrapposti: come nella guerra di Troia (altro luogo frequentato sia da Weil sia da Putino) in cui chi non è amico è per forza nemico. Tertium non datur.

E invece non c’è solo o qui o lì senz’altra soluzione: si tratta di comprendere come si muove Pentesilea nel dramma di Kleist, dove Putino individua una scommessa, uno spazio per la differenza, che è presto soffocata dall’autore, forse spaventato dal seguire un percorso diverso che trasforma “una strada insolita in una macchina suicida e dilaniante”.

Pentesilea, forse.” (è sempre Putino che s’interroga) regina delle Amazzoni, che scompagina le fila dei Troiani ma anche degli Achei, non accetta e ribalta le scelte precostituite, i procedimenti calcolati, le dicotomie. Una scommessa soffocata, ma che per chi l’ascolta ha un ritmo “che sovrasta qualsiasi epilogo e non credo che vi possa essere una lettrice che non provi un fremito gioioso al primo veloce comparire di una Pentesilea che aggira le postazioni degli eserciti schierati”.

Lei, Pentesilea, è la regina di una razza di donne guerriere ma senza Stato.

Le Amazzoni per Putino, inscindibilmente donne e guerriere, mostrano in questo il loro provenire da altrove, da un luogo al di fuori degli Stati e della logica di guerra tra Stati: sono al di fuori dello schema che, come i pezzi su una scacchiera, le assegna già un ruolo, una regola di movimento e un valore, un’identità sessuale ben definita: “Pentesilea usa altra misura”.

Prima suggestione e domanda per me come uomo: se dovessi seguire Pentesilea, come potrebbe fare Achille che l’ama, non metterei in discussione il mondo simbolico che la vuole da una parte, opposta ad Achille (che comunque si schiera da un’altra)? Ricostruirei una polarità (o di qui o di là) che è quello che Pentesilea e le Amazzoni (e Putino con loro) non vogliono.

Putino gira anche intorno al concetto giustizia, lo manipola come argilla a e lo ritrasforma, senza fargli perdere la sua materialità, la sua fonte d’origine: parla di una legge non scritta che scaturisce dalla politica.

E racconta, spiazzando i miei schemi mentali, di un modo di azione che rimanda a un passato che parla di combattimento e di guerre, ma non di eserciti rigidamente organizzati: come le Amazzoni, un esercito senza Stato. Parla di un essere militante e femminista che rimanda all’evento iniziale di questa politica, all’impersonale.

Una politica che genera un’idea di giustizia che fa scaturire la libertà femminile, un evento e un accadere in cui si riconosce chiaramente una giustizia limpida e chiara: “che ogni donna pensa, è capace di pensiero”. E quello che pensa una donna, il pensiero, non è interesse di parte bensì un pensiero per tutti.

Qui non siamo, infatti, nell’ambito delle cose personali, nel dominio dei diritti che presto scadono in una rivendicazione di privilegi. Se non è politica per i diritti e a partire dai diritti che cosa mai potrà essere? Weil a questi interrogativi una risposta la fornisce; ma è una risposta che non posso riportare direttamente su di me. È troppo dipendente da un trascendente che non mi risponde, troppo dipendente da un dualismo tra bene e necessità che richiederebbe una ricerca religiosa che non è parte della mia singolarità.

Forse bisognerebbe continuare a scavare nella sostituzione che lei compie dei diritti con gli obblighi per scoprire se ci potrà essere una strada alternativa che, invece che dal trascendente, parta dall’immanente, dal qui e dall’ora.

L’indicazione finale di Putino è un rimandare alla ricerca teorica, un lascito che per quelle che lei aveva scelto come interlocutrici o che vengono dopo di lei è sicuramente entusiasmante e intrigante: ma per me, che un teorico non sono e che sono un uomo? Certo lei mi lascia un’altra indicazione: “Le teorie hanno sempre a che fare con i modi stessi con cui scegliamo di vivere e con le soluzioni che mettiamo alla prova, e non restano perciò nel parlamentarismo delle opinioni”.

Due indicazioni ne posso comunque trarre, anche se forse non sono risposte agli interrogativi che le amiche e gli amici riuniti quest’anno a Torreglia hanno posto e pongono: ripartire dalla mia singolarità incarnata e sessuata, ripartire dalla “condizione necessaria” che mi fa essere uomo e non mi permette di sostenere di non esserlo verso “una libertà che è assunzione di questa necessita”. E l’esplorare, a partire dal mio sesso, l’azione impersonale, un’azione (che prevede anche una restrizione del mio io ma non della mia singolarità) che consente un rinnovamento, che mi permette di stare dalla parte della vita senza essere fuori di essa; che è come la freccia scoccata da un arco senza che l’arciere vi applichi la sua volontà.

Testi utilizzati:

S. WEIL, La persona e il sacro, Milano, Adelphi, 2012.

A. PUTINO, Donna guerriera, in DWF, Roma, n.7, 1988 pp. 9-14.

A. PUTINO, L. MANGIACAPRE, Androgina/Amazzone, in “Manifesta. Il diverso della scrittura”, Napoli, Le Tre ghinee – Nemesiache n.1, 1988, pp. 1-3.

A. PUTINO, La funzione guerriera nella sua originaria forma femminile, in AA.VV. Filosofia Donne Filosofe – Atti del Convegno internazionale di Lecce 27-30 aprile 1992, Lecce, Edizioni Milella, 1994, pp. 181-190.

C. CAPOBIANCO, Intervista a A. Putino, in Interpreti e protagoniste del movimento femminista napoletano 1970-1990, Napoli, Le Tre ghinee – Nemesiache, 1994.pp. 113-126.

A. PUTINO, L’impersonale nella politica, in Esercizi di composizione per Angela Putino. Filosofia, differenza sessuale e politica a cura di, a cura di S. TARANTINO e G. BORRELLO, Napoli, Liguori, 2010, pp. 108-111.

(www.libreriadelledonne.it, 01 giugno 2017)

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