di Silvia Baratella
Una ricerca recentemente pubblicata, e commentata da Clara Jourdan su questo sito il 9 ottobre 2019, ha richiamato la mia attenzione sulla parola “uxoricide”.
Diversi vocabolari danno come definizione di uxoricida “uccisore del coniuge”, ma uxor in latino vuol dire “moglie” e dunque quel femminile plurale vuol dire letteralmente “donne che hanno ucciso la moglie”, un’assurdità. Con un calco latino si sarebbe potuto creare sia “coniugicida” (in francese esiste), sia, per la moglie che uccide il marito, “viricida” o “mariticida”. Invece l’italiano ha esteso alle donne la definizione prevista per gli uomini. Perché? Che cosa fa ostacolo a creare una parola specifica per l’uccisore del coniuge maschio, come si fa nel caso di parenti maschi (parricidio, fratricidio)?
Certo, l’uccisione del marito da parte della moglie nella nostra società è un’eccezione che non fa che confermare la regola della violenza maschile, anche assassina, nei confronti delle donne. Ma non è per questo motivo che manca il termine.
La verità è che uxoricidio in senso letterale, parricidio, matricidio, fratricidio e sororicidio hanno idealmente un uomo come protagonista. È lui l’uccisore. Naturalmente, “anche” una donna può rendersi colpevole di uccidere madre, padre, fratello o sorella, ma è una possibilità accessoria.
Insomma, la lingua nega alla donna di essere unico soggetto possibile di un’azione, soprattutto di un’azione ostile di cui l’uomo è complemento oggetto. Piuttosto che concepirlo, si sceglie di convenire che in italiano corretto l’uccisora del marito si chiami “donna che ha ucciso la moglie”.
Questa omissione può ben esemplificare i limiti dell’ideologia della parità: “anche” le donne possono fare tutto ciò fanno gli uomini, imitandoli persino nell’odio contro loro stesse, ma non possono fare ciò che non emana dai maschi, che li giudica o che li danneggia.
In quest’ottica, limitarsi a reclamare una denominazione su misura non esaurisce la questione, bisogna ragionare sulle asimmetrie tra donne e uomini. Alcune sono irriducibili: gli uomini non possono procreare, le donne sì. Altre invece dipendono dalla posizione in cui la storia ci ha messe, ma possiamo scegliere liberamente di farne qualcosa. È di una di queste dissimmetrie storiche che si tratta? Per me, sì: è un’occasione per tener presente che non aspiro al “diritto” di diventare “viricida”. Aspiro a cercare nuove strade di conflitto e di relazione in un diverso ordine simbolico.
(www.libreriadelledonne.it, 24 ottobre 2019)