11 Marzo 2020

Partire dai punti di contatto

di Doranna Lupi


Ho seguito l’incontro di Via Dogana 3 del 9 febbraio 2020 e ho condiviso commenti e riflessioni con Mira Furlani e Carla Galetto delle Comunità cristiane di base italiane. Come Carla G. ha sottolineato, penso anch’io sia giusto conoscere e discutere le posizioni espresse in quell’incontro, ma anche confrontarsi apertamente a partire da questioni politiche importanti, come ha fatto Mira Furlani argomentando con me sia l’incontro VD3 come anche il documento scritto dal Gruppo del mercoledì di Roma, reso pubblico dallo stesso Gruppo su internet e altrove (https://www.donnealtri.it/2020/03/andare-e-tornare-dallio-al-noi-e-dal-noi-allio/).

Tra gli interventi avvenuti durante il dibattito di VD3 del 9 febbraio 2020 sul tema La differenza sessuale alla prova del presente,una donna ha esordito con queste parole: autorità non è lo scambio di pareri dove ognuna dice la sua, ma quando non si è d’accordo prendersi l’autorità di esprimersi.Soprattutto, aggiungo io, quando la posta in gioco è alta. E credo che gli argomenti trattati in Libreria e nel documento scritto dal Gruppo del mercoledì di Roma facciano parte di quest’ultima categoria.

Nel documento le femministe romane parlano di donne con le quali hanno condiviso un lungo tratto di strada dicendo che sembrano aver fatto del divieto sulla gestazione per altri e sulla prostituzione l’unica e ultima trincea, volendo così affermare un’essenza immutabile del sesso femminile. Sostengono di condividere le stesse preoccupazioni in merito ma, a loro parere, i rischi non si evitano con le proibizioni. E aggiungono che non c’è conflitto sul simbolico se il femminismo si ripiega unicamente in difesa del corpo femminile, chiudendosi nelle proprie certezze o in posizioni troppo schematiche, perché rischia di ridurre la complessità del problema. La stessa critica di schematismo vien fatta al femminismo che, nel leggere il disagio e lo sfruttamento capitalistico, s’inchioda all’interpretazione del marxismo.

Se, nel primo caso, le donne del Gruppo del mercoledì di Roma si riferiscono ad alcune femministe della Libreria e di Diotima impegnate sui temi della GPA e della prostituzione, è perlomeno riduttivo pensare che l’azione politica, loro personale e non, si esaurisca su questi temi. Se andiamo solo a rivedere gli argomenti da loro trattati tra il 2018 e il 2019, i temi della prostituzione e della GPA sono solo due tra i tanti argomenti di fondamentale importanza affrontati negli incontri di VD3, nei libri proposti e negli articoli postati. La maggior parte del lavoro è stato fatto per dar parole nuove, a partire da sé e dalle relazioni politiche tra donne, a molti altri argomenti scottanti del mondo in cui viviamo. Per fare alcuni esempi riporto qui solo alcuni titoli: 1) Emergenza climatica. Le donne sanno. 2) Il clima e l’inconscio. 3) Parole che creano realtà, una storia nella rete che continua. 4) Ripensare la cittadinanza. 5) Se i migranti sono più uomini che donne. 6) Sull’immigrazione: pensieri parole opere e omissioni. 7) La parola giusta ha in sé il potere della realtà – Alcuni riferimenti per continuare a pensare. 8) Per cambiare il lavoro ci vuole femminismo. Emolto altro ancora. C’è quindi tutto ciò di cui parlano le donne del Gruppo del mercoledì nei primi quattro punti del loro documento e non vedo, da parte della Libreria delle donne di Milano, Diotima e altre, un fare della prostituzione e della GPA l’ultima e unica trincea del femminismo.

Tuttavia non sono da sottovalutare tutte le implicazioni che queste battaglie comportano. Ponendo il simbolico come prima radicale azione politica da compiere, come afferma anche il Gruppo romano, è fondamentale e indispensabile il cambiamento di sguardo che vede la prostituzione come un problema degli uomini e apre la possibilità, da parte loro, di un’analisi su un dispositivo del contratto sessuale tra uomini attraverso il quale si sono assicurati l’accesso ai corpi delle donne, anche attraverso nuove forme, offerte dal capitalismo, come la GPA. Carole Pateman dice che: Un’analisi dei contratti riguardanti la proprietà della persona in cui una delle parti deve essere costituita da donne – il contratto di matrimonio, quello di prostituzione e quello di maternità surrogata – mostrano che ciò che è in gioco nel contratto è precisamente il corpo di una donna.

Questa contraddizione non può emergere finché non si smaschera la finzione politica del neutro universale frutto di un patto tra fratelli.

Il lavoro della Libreria delle donne di Milano e di Diotima sul linguaggio diventa quindi indispensabile. Dagli interventi di presentazione delle tematiche trattate in VD3 del 9 febbraio 2020, fatti da Chiara Zamboni, Stefania Ferrando, Traudel Sattler, ho capito che il linguaggio non è disincarnato e non è possibile manipolarlo o operare rimozioni se non a discapito della verità soggettiva e, di conseguenza, della verità collettiva. La coscienza del limite, necessaria per nominare e modificare la realtà, sulla quale tanto insistono negli ultimi tre punti del loro documento le donne del Gruppo del Mercoledì, passa proprio dall’elaborazione del simbolico attraverso il faticoso lavoro della differenza. Chiara Zamboni nel suo intervento crede che: la tentazione del neutro nasca dalla fatica della differenza, e in primo luogo dalla fatica dello stare in rapporto alla differenza dell’altra e poi dell’altro. Nasca dal desiderio di una libertà senza vincoli e senza attraversamenti di parzialità. Le manipolazioni del linguaggio, il ritorno al neutro che disconosce e rimuove il grosso lavoro del pensiero della differenza sessuale, sono inoltre funzionali a un capitalismo che attraverso la biopolitica sfrutta i corpi di donne e uomini nel lavoro e, soprattutto quello delle donne, in altri ambiti molto fruttuosi come la prostituzione o la GPA. Queste ultime “professioni” ovviamente sono da combattere in ogni modo, soprattutto attraverso una rivoluzione simbolica, come fanno i movimenti internazionali delle sopravvissute al mercato del sesso che lottano per il modello nordico andando a toccare nodi cruciali inerenti il contratto sessuale, il rapporto tra i sessi, lo sfruttamento neocapitalista dei corpi e il modo in cui le donne raccontano le proprie vite dentro una storia rivista alla luce di queste consapevolezze, una storia che diventa così storia vivente. Inoltre ai giorni nostri si aggiunge anche la minaccia di un nuovo capitalismo della sorveglianza (vedi il volume del 2019 di Shoshana Zuboff: Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri) che manipola sentimenti, bisogni, sogni, ideali rubati dalla rete come dati da usare nel mercato per il profitto e nella politica per il controllo, da parte di pochi, sui corpi e sulle menti di molti/e. Il privato diventa pubblico ma solo per aprire possibilità illimitate al mercato e ai poteri forti e il pubblico perde la forza politica dell’azione efficace perché il potere si gioca in una ristrettissima cerchia che agisce protetta dal completo anonimato.

Io penso che le destre con il loro linguaggio retrivo e autoritario possono non essere vincenti, suscitando reazioni di protesta e di opposizione (vedi Sardine). È quindi molto improbabile una restaurazione del vecchio ordine naturale che, secondo il documento del Gruppo del mercoledì di Roma sembra essere “lo spirito del tempo”, attraverso la violenza o la forza.

Ciò che mi preoccupa di più è l’assenza di media liberi, i balbettamenti della sinistra su temi importanti come la giustizia e il lavoro che nascondono un adeguamento a politiche economiche neoliberiste come il Jobs act (riforma atta a flessibilizzare il mercato del lavoro e ad aumentare la possibilità del controllo a distanza attraverso i nuovi dispositivi geolocalizzanti) e il loro silenzio o assenso sui Decreti Sicurezza. Inoltre mi preoccupa l’appropriazione da parte della CGIL, sindacato in cui opero come RSU, di un linguaggio del contrattualismo radicale che eleva la proprietà della persona a massimo valore facendo della prostituzione e della GPA un lavoro come un altro.

Il documento del Gruppo del mercoledì di Roma mi sembra sia stato scritto soprattutto “contro” e non “in dialogo con” perché accusa altre donne più che affrontare un conflitto nato da posizioni diverse. Se l’obiettivo di cambiare l’ordine simbolico, spostare lo sguardo, dare un altro nome alle cose per trarre fuori dalla rappresentazione dominante la realtà che ci interessa modificare, come spiegano le donne del Gdm, è un obiettivo comune, allora è sicuramente più efficace farsi forza a partire dai punti di contatto.

Ieri volevo concludere questo testo riprendendo il discorso affrontato in VD3 Parlare bene delle donne. Oggi sono rimasta piacevolmente sorpresa dal titolo di un incontro programmato in Libreria (per quando sarà possibile): Parlare bene delle donne 2020. A due anni di distanza riprendiamo l’invito di Luisa Muraro. La scommessa non è la libertà delle donne – quella è in corso – ma il cambio di civiltà per donne e uomini. Una volta l’avremmo chiamata rivoluzione. Aprono la discussione Lia Cigarini e Giordana Masotto.

Solo in questa prospettiva è possibile procedere attraverso la politica delle relazioni tra donne.


(www.libreriadelledonne.it, 11 marzo 2020)

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