24 Giugno 2020

Per Carla Turola

di Alessandra De Perini, delle Vicine di casa


In tante abbiamo avuto il privilegio di conoscere Carla. In questi ultimi tre anni ci sono stati tra lei e tutte noi, alcune in particolare, scambi fecondi di idee, esperienze e progetti, circolarità di affetti. È la prima di noi ad andarsene. Con lei abbiamo passato dei momenti di felice conversazione, abbiamo condiviso il piacere del buon cibo, l’amore per l’arte, la passione per il pensiero e la pratica della differenza, la gioia delle relazioni, del riunirsi per fare festa, del dipingere ad acquerello, immaginando di essere immerse in paesaggi naturali dove respirare intensamente i profumi, i diversi odori delle stagioni. Questa era Carla: un’amante fedele della vita e dell’arte, dedita all’esercizio quotidiano delle relazioni, costantemente alla ricerca della verità soggettiva, lettrice appassionata di Carla Lonzi, Simone Weil, Etty Hillesum, grandi pensatrici del Novecento, una donna che aveva cieli infiniti e paesaggi immensi dentro di sé, una maestra di icone – ma lei preferiva definirsi semplicemente una “madonnara” – che era andata ben oltre la tecnica dell’icona e aveva colto il significato nascosto, imprevisto e profondo delle immagini sacre, una donna molto creativa, attenta e intelligente che riusciva con il poco che aveva a disposizione a realizzare opere straordinarie, un’amica preziosa e consapevole, una donna saggia, ma al tempo stesso pronta a lanciarsi in rischiose avventure dello spirito, una ricercatrice dell’assoluto. In tante abbiamo riconosciuto il suo valore umano, spirituale e artistico.

In un testo recente, pubblicato sul sito della Libreria delle donne di Milano, Carla si descrive come un soggetto “ad alto rischio”: andava in dialisi tre volte alla settimana e da alcuni anni era limitata dall’uso della carrozzina ma, grazie a una ginnastica da distesa che si era inventata e alcuni esercizi da seduta che faceva tutte le mattine, manteneva un minimo di autonomia. Condivideva il reparto della casa di riposo in cui si trovava con persone ben più anziane di lei, molte delle quali avevano gravi problemi di demenza. Non avrebbe dovuto trovarsi lì ma, colpita da una grave malattia e non avendo purtroppo relazioni familiari su cui fare affidamento né, in quel momento della sua vita, amiche fidate a cui chiedere consiglio, dovette accettare per realismo questa condizione. Nonostante questo, scrive: «Qui ogni piccola cosa è un godimento: il caffè del mattino, la pulizia degli occhiali, la colazione con le fette biscottate spalmate di marmellata di amarene». Ogni mattina si lavava con cura, si massaggiava con creme idratanti, si spruzzava in po’ di profumo e si sorrideva allo specchio, augurandosi una buona giornata, felice di essere viva. Sapeva che il sorriso fa bene, quindi sorrideva, anche se aveva dormito poco e male per il mal di schiena. Si alzava molto presto, all’alba, che per lei era il momento più bello perché poteva raccogliersi in preghiera nel silenzio. Poi si metteva al lavoro – carta, matite, colori, terre, oro – nella sua “postazione” (un tavolino, una scaffalatura, un armadio di metallo con la chiave) in veranda. Da qui poteva vedere e ammirare gli splendidi alberi del parco della casa di riposo. La difficile prova della pandemia che l’ha privata per mesi delle amiche carissime le ha fatto sentire ancora di più «il valore delle relazioni di vicinanza, dello scambio di pensiero e di parole scelte con intelligenza». Ha vissuto questo tempo – come lei stessa scrive – per leggere, quando non aveva più materiali per dipingere, un bel romanzo sulla storia delle Beghine o le poesie di Alda Merini o per studiare il Vangelo di Giovanni, che per lei era di una bellezza sfolgorante e in cui vedeva un filo conduttore tra luce e tenebre. «Questo tempo – scrive – è una porta stretta da attraversare. Nella mia vita ne ho attraversate molte e ogni volta ne sono uscita migliore, con più fiducia. È anche un esercizio di libero arbitrio: ci costringe a scegliere se uscirne con risentimento o con amore rinnovato. Questo è il momento di invocare lo Spirito Santo e i suoi doni. Tra i tanti doni che ho ricevuto nella vita, oltre alle relazioni privilegiate con alcune donne, c’è la pittura di icone che, pur con difficoltà, riesco ancora a praticare. Questo è il momento delle piccole cose che si fanno grandi e importanti come non mai. Auguriamoci di ricordarcelo poi, quando finalmente l’epidemia sarà finita, potremo riabbracciarci e festeggiare sedute a tavola nella nostra trattoria preferita!». Grazie Carla, di te parleremo, ti ricorderemo, ti citeremo, cercheremo di raccogliere le perle preziose che hai lasciato sparse qua e là lungo il tuo cammino.


Biografia di Carla Turola


Carla Turola è nata a Venezia il 21 febbraio 1948. Frequenta le elementari e le medie dalle suore Canossiane che, oltre a trasmetterle un’educazione religiosa, da lei in seguito contestata, le insegnano i primi elementi della pittura ad acquerello. Dopo la scuola media, frequenta Ragioneria controvoglia, sentendosi più portata per le materie letterarie e artistiche. Non consegue il diploma e molto giovane inizia il lavoro di contabile in una ditta di Marghera, ma continua a leggere e a studiare per conto proprio, formandosi da autodidatta una propria cultura. A ventisette anni si sposa, non ha figli, alcuni anni dopo lascia il marito e va a vivere per conto proprio in un appartamento a Mestre. In quel periodo frequenta corsi di disegno, di acquerello, di pittura ad olio e a tempera, intreccia relazioni amorose e si appassiona alla politica sindacale. Nel 1988 inizia a frequentare “La rete della differenza”, un gruppo di donne che si riunivano al Centro Donna di Mestre per leggere e mettere in pratica i testi più significativi del femminismo radicale. A quarant’anni, colpita improvvisamente da una grave malattia, si allontana dal gruppo e decide di dedicarsi alla lettura e all’approfondimento del pensiero di Simone Weil, collegandosi poi al filone d’oro del pensiero mistico femminile. Verso la seconda metà degli anni Novanta, si trasferisce a Mirano (Venezia) in un appartamento che condivide con la mamma e la sorella. Tramite un’amica, entra a far parte dell’associazione “Identità e differenza” di Spinea. Quelli per lei sono tempi ricchi di relazioni e di impegno politico e artistico. Dopo trentacinque anni di lavoro, va in pensione e per anni assiste con la sorella la mamma gravemente malata. Dopo la scomparsa della mamma, venduta la casa di Mirano, ritorna a vivere da sola in un appartamentino accanto a quello della sorella a Zianigo, un paese vicino a Mirano. Qui inizia una nuova fase della sua vita: coltiva l’amicizia come un bene raro e prezioso, partecipa a mostre collettive (nel 2009 con 25 artiste collabora alla mostra “Venezia salva. Omaggio a Simone Weil”, evento collaterale alla 53esima Biennale d’arte di Venezia) e si concentra sempre più sull’arte delle icone. Dopo pochi anni, colpita dalla stessa grave malattia della madre, perde progressivamente l’indipendenza a cui era abituata, deve sottoporsi a dialisi tre volte la settimana ed è costretta all’uso della carrozzina. Non potendo più vivere autonomamente a casa propria né avendo in quel momento amiche fidate a cui chiedere aiuto o un consiglio, dolorosamente accetta a soli sessantotto anni il ricovero in una casa di riposo di Mirano. Qui, dopo alcuni mesi drammatici di perdita di riferimenti e disorientamento, costruisce buone relazioni con le infermiere, le educatrici, il personale medico dell’istituto; ha la forza di riprendere a fare acquerello e dipingere icone; realizza tre libri d’artista, si impegna a tenere dei corsi di acquerello rivolti non solo al personale e alle/agli ospiti dell’istituto, ma anche al territorio ed è alla guida di incontri settimanali di attività creative. Trascorre gli ultimi anni della sua vita sostenuta, amata, riconosciuta da alcune amiche preziose con le quali ritrova la gioia di uno scambio sull’arte, sulla politica e la spiritualità che si era interrotto anni prima. Si spegne a settantadue anni nella rianimazione dell’ospedale di Mirano il 17 giugno 2020.


(www.libreriadelledonne.it, 24 giugno 2020)

Print Friendly, PDF & Email