8 Febbraio 2023

Quando fare politica non è facile

di Paola Mammani


Vi sono state sfide difficili da affrontare negli ultimi anni. Avvenimenti dirompenti sui quali, come c’era da aspettarsi, ci siamo divise, ma alcune sono state prese alla sprovvista e io tra loro. Da sempre diciamo che le donne non sono un gruppo sociale omogeneo e per questo hanno saperi, desideri e visioni della vita differenti, perciò la sfida è stata ed è: se, con chi e come metterci in relazione su temi quali l’epidemia di Covid, la guerra in Ucraina o il dilagare dell’ideologia del gender. Da parte mia potrei aggiungere il tema della prostituzione ma ciascuna avrà i suoi punti dolenti, quelli più difficili da affrontare con le altre, quando sa che incontrerà dissenso.

In una rete di donne che si tenevano in contatto con mail durante il lockdown, una che si era dichiarata contro le vaccinazioni, le proibizioni del governo etc., ha citato Shoshana Zuboff e Il capitalismo della sorveglianza per dire che a suo parere l’autrice già prefigurava una posizione di rifiuto e critica ad interventi simili. Proprio in quei giorni Zuboff dichiarava di essere a favore dell’obbligo di vaccinazione a difesa della salute di tutti, e io in quella rete l’ho scritto. Una donna ben più competente e saggia di me in fatto di politica, mi ha chiesto: era necessario che tu intervenissi?

Questo aneddoto per dire che dobbiamo cercare la via, non facile, per confrontarci sui temi che questi tempi ci impongono, mantenendo vive le relazioni, per quanto possa essere stato doloroso o addirittura stupefacente non sentirsi comprese o appoggiate da quelle che credevamo di avere al nostro fianco in questi frangenti.

In concreto, se una ha ritenuto che il meglio per sé fosse non vaccinarsi e che la politica dei governi sul Covid sia stata una gigantesca operazione autoritaria e un grandissimo affare a spese di tutta l’umanità, può provare a parlare alle proprie simili più efficacemente di quanto non le sia riuscito nel passato. Deve tenere conto però che, nella stragrande maggioranza, noi donne abbiamo deciso di vaccinarci, anche quelle cui nessuno avrebbe sospeso salario o stipendio in assenza di green pass. E che non possiamo per questo essere ritenute delle imbelli spaventate, in balia di uno stato autoritario.

Insomma, quali strumenti abbiamo per parlarci, se non lo facciamo ognuna a partire da sé? Ritorno sull’aneddoto: perché svilivo pubblicamente un’altra donna? Se volevo dire che non ero d’accordo con la sua scelta, non si trattava di darle un’informazione esatta, ma dovevo offrirle il mio punto di vista soggettivamente vero. Commette il mio stesso errore, credo, quella che mi dice che sono stata passivamente acquiescente alla violenza delle vaccinazioni, che non mi sono ribellata quanto avrei dovuto e che di questo si stupisce. Il fatto c’è, ho accettato di vaccinarmi, ma la sua verità soggettiva dov’è? Della sua soggettiva difficoltà non ha nulla da dirmi?

A torto o a ragione, io ero tra quelle che sin dai primi giorni del febbraio 2020, ritenevano che l’OMS ritardasse colpevolmente la dichiarazione dello stato di pandemia. Mi ha preso un vero scoramento quando donne importanti per me hanno dato per buone le parole del sindaco Sala – Milano non si ferma – o hanno tardato a adottare le misure di prevenzione prescritte. Per questo sono grata a quelle amiche che hanno voluto raccontarmi le ragioni del loro disagio di fronte agli obblighi imposti durante la pandemia, primo fra tutti quello vaccinale.

Negli ultimi tempi ho visto altre mosse, nel dibattito politico tra donne, che giudico sbagliate. Le annoto, sperando così di evitarle io stessa. Per esempio, in una discussione che ogni tanto ricorre, quella di adottare il cosiddetto modello nordico, perseguendo penalmente i clienti delle donne prostituite, una che ha argomentato contro la proposta è stata invitata a lasciar parlare quelle che hanno competenza a farlo, e questa pretesa contraddice un’altra pratica posta a garanzia di relazioni proficue, e cioè che tutte sono abilitate ad esprimere un giudizio, purché consapevoli della propria parzialità, anche di sapere e competenza.

Ho trovato forse maggiore consapevolezza della difficoltà del momento, su una mailing list in cui si discuteva dell’invasione dell’Ucraina. Ho argomentato come ho potuto la mia posizione di critica netta al modo in cui tutto l’Occidente ha trattato e continua a trattare il conflitto, ma quando mi sono accorta che le mie parole non risultavano convincenti, ho deciso di tacere e lo stesso hanno fatto le mie interlocutrici favorevoli alla politica del nostro paese e dell’Europa. Loro conoscono di certo le critiche mosse ai governi europei e alla NATO, mi sono detta, ma se sono convinte che l’invio di armi all’Ucraina sia un’inevitabile necessità, allora sono io che devo pensare di più e di meglio, che devo trovare parole nuove se voglio riaprire efficacemente il confronto. E anche loro, confido, si sono date lo stesso compito.


(www.libreriadelledonne.it, 8 febbraio 2023)

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