11 Maggio 2022

Se ad essere violente sono piccole donne, allora bisogna studiare il femminismo

di Tiziana Nasali


Una decina di ragazzine, fra i quattordici e i quindici anni, mesi fa ha costituito una banda con lo scopo di aggredire verbalmente e fisicamente coetanee più deboli (body shaming, insulti razzisti, schiaffi, pugni…). Le aggressioni venivano regolarmente riprese con i cellulari e poi divulgate in rete per acquisire rispetto, approvazione, notorietà e annientare la reputazione delle vittime.

Le ragazze della “Baby gang”, nome da loro scelto per la chat di WhatsApp, sono chiamate dalla stampa “mini bulle” e, a quanto si legge, non sembrano avere particolari situazioni di disagio alle spalle; il modus operandi emerso dalle indagini è lo stesso di tante altre bande di giovani adolescenti maschi.

Il fenomeno di ragazze protagoniste di atti di bullismo e cyberbullismo, ormai da qualche anno è in aumento o perlomeno così sembra dalla risonanza sui media. È vero che donne violente o sadiche ci sono sempre state – probabilmente ci saranno sempre e questo non inficia certo la libertà femminile – ma la violenza e il sadismo in passato potevano essere reazione allo stato di servitù in cui erano tenute. Oggi, invece, in un mondo in cui le donne sono ovunque, hanno la possibilità di realizzare i loro desideri e nascere donna è “un’indicibile fortuna”(1), ci si può legittimamente aspettare che le ragazze trovino “attività più onorevoli”(2) dell’essere bulle e dell’imitare i maschi.

Mi colpisce quindi che molte giovani siano ancora catturate dall’imitazione di modelli maschili, e penso che una delle ragioni per cui questo avviene, stia nella narrazione che la politica e i media, con poche lodevoli eccezioni(3), fanno della libertà femminile, continuando petulantemente a interpretarla solo come aspirazione alla parità, come se comportarsi come gli uomini fosse la cosa più desiderabile per una donna. Ma la cultura della parità, se non resta confinata al suo proprio ambito, quale può essere, ad esempio, la parità dello stipendio per lo stesso lavoro, rivela la sua miseria e riduce alla misura maschile ciò che non può esservi ridotto, le donne. E così facendo, perpetua stereotipi che inducono nelle ragazze odio nei confronti di sé stesse e delle altre e generale disvalore per il femminile. 

È la differenza sessuale il punto da cui giornalisti/e ed educatori/trici devono partire per impostare una lettura più sensata dei fatti. Non serve apostrofare le ragazzine come bulle, talvolta con malcelato compiacimento, quasi a voler sancire che non ci sono differenze fra maschi e femmine. Occorrono giornalisti/e che vadano a fare indagini serie per capire che cosa porta giovani donne a scimmiottare i peggiori comportamenti maschili (tra l’altro ci sono voluti decenni per ottenere che il femminile venisse usato per ministra, avvocata, e un attimo per passare da bullo a bulla). Che cosa inquieta dunque queste ragazze? Emma Ciciulla del collettivo femminista Le Compromesse, scrive su VD3 del 16 marzo 2022 che a quattordici anni si sentiva esposta a due input particolarmente pervasivi, i media misogini classici, come la televisione italiana, e ancora di più un certo femminismo che aveva avvicinato su Facebook e su Instagram. Un femminismo mainstream che sostiene che la libertà sia libertà di sedurre e che, da almeno una decina di anni, ha come target le giovanissime che vengono incoraggiate ad aderire senza esitazione a quegli standard di femminilità che il patriarcato pretende di imporre. Emma si riferisce in particolare a post di pagine femministe che “spingono le donne a indossare capi sessualizzanti e a esplorare quella sessualità pornificata tanto cara agli uomini”(4).

Le ragazze della Baby gang non aderiscono a uno standard di femminilità patriarcale ma assumere comportamenti di virilità, deviante o meno, a me pare sia l’altra faccia della stessa medaglia: è questa la pressione che le giovani sentono e in cui si dibattono. Ed è questa la pressione che la stampa e la politica dovrebbero indagare: le ragazzine “bulle”, violente soprattutto con le loro simili e prodotto anche di questa cultura della parità, ci dice tutta l’urgenza di cambiare linguaggio e narrazione per capire il presente. Occorre la consapevolezza che solo con una lettura significativa si può smettere di alimentare una cultura sessista, dannosa per gli stessi uomini, tanto che anche alcuni di loro iniziano a criticarla e parlano esplicitamente di mascolinità tossica. Si smetta quindi di ignorare colpevolmente il pensiero femminista, anzi si inizi a studiarlo. Soprattutto per chi opera nel settore dell’informazione, dell’educazione e della politica, non è più cosa rimandabile.


Note:


1. Luisa Muraro, Non è da tutti. L’indicibile fortuna di nascere donna, Carocci, 2011.

2. Espressione mutuata dal titolo dell’articolo di Clara Jourdan, Creare attività più onorevoli della guerrasul sito della Libreria delle donne in Contributi, 9 marzo 2022 (https://www.libreriadelledonne.it/puntodivista/contributi/creare-attivita-piu-onorevoli-della-guerra/).

3. Una di queste lodevoli eccezioni è costituita da Giulia Giornaliste, associazione di professioniste che si pone l’obiettivo di trattare temi che riguardano le donne con un linguaggio privo di stereotipi: https://giulia.globalist.it

4. Emma Ciciulla, Quando il “femminismo” ti vuole donna-oggetto, VD3, 16 marzo 2022, (https://www.libreriadelledonne.it/puntodivista/quando-il-femminismo-ti-vuole-donna-oggetto/).


(www.libreriadelledonne.it, 11 maggio 2022)

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