18 Ottobre 2018

Sicari e mandanti

di Silvia Motta

 

Parole così feroci e impietose da Papa Francesco proprio non me le aspettavo, nonostante io non abbia mai pensato o immaginato che la Chiesa modificasse la sua posizione sull’aborto. Mi riferisco in particolare a quel che ha detto nell’udienza di mercoledì 10 ottobre e a quel passaggio dove nel discorso irrompe il tema dell’aborto. Rivolto alla folla il Papa chiede e afferma: «Io vi domando: è giusto fare fuori una vita umana per risolvere un problema? È giusto affittare un sicario per risolvere un problema? Non si può, non è giusto fare fuori un essere umano, benché piccolo, per risolvere un problema. È come affittare un sicario per risolvere un problema».

Questo linguaggio, e in particolare la frase “affittare un sicario”, mi è arrivata come una lama nel cervello e per immediata associazione ho pensato: se ci sono i sicari ci sono anche i mandanti, anche se il papa non usa questa parola. Ecco, il Papa sta dicendo che i medici sono i sicari e noi donne siamo le mandanti dell’assassinio.

Ma come gli è venuta in mente un’immagine così orribile?

Le donne non sono delle assassine, tanto meno le mandanti. Quando ricorrono all’aborto – che non è una festa né qualcosa di minimamente desiderabile – il più delle volte vi arrivano da qualche pesante costrizione materiale, culturale o psicologica: rapporti sessuali dove il maschio non si fa nessun carico delle conseguenze, sottomissione a dettami religiosi che vietano la contraccezione e inducono all’obbedienza cieca, ignoranza eccetera.

Quanto ai medici, quelli che applicano la 194, che non fanno obiezione di coscienza e lavorano nel sistema sanitario nazionale, sono una minoranza coraggiosa che riconosce l’importanza di non esporre le donne ad aborti clandestini e insicuri e che si oppongono al business che intorno all’aborto fioriva e ancora fiorirebbe.

Nel mentre di queste riflessioni mi sono imbattuta nell’articolo di Luisa Muraro apparso sul sito della Libreria delle donne: Il Papa sull’aborto: per essere buoni ci vuole una civiltà.

Sconcerto si è aggiunto a sconcerto.

Luisa Muraro, dopo aver riconosciuto a Papa Francesco la libertà e l’autorità che gli compete nell’insegnare il catechismo cattolico e che «anche lui come gli altri e le altre che lo fanno, lo fa più o meno bene», in merito al brusco passaggio che nel discorso lo porta sul tema dell’aborto si chiede: «Ma era questo il momento e il modo giusto per parlarne?».

Di fronte a questa domanda, più che pertinente, io mi aspettavo un bel “NO”: non era questo il momento e tantomeno era il modo giusto per parlarne.

Invece Luisa risponde: «Le parole usate dal Papa suggeriscono una parziale giustificazione della sua scelta». Giustificazione che trae spunto da un’interpretazione che Luisa esplicita e si autorizza a fare. Cioè, di situare questo discorso del Papa sull’aborto nel quadro di una non-civiltà, come è quella a cui il pontefice si riferisce parlando del mondo in cui viviamo. Una non-civiltà nella quale vige la “cultura dello scarto” e dove avanzano “progressi scientifici” che portano verso scelte pericolose e applicazioni eugenetiche (ad esempio abortire quando l’analisi del DNA del feto portasse a una diagnosi infausta).

L’interpretazione di Luisa, che porta alla “parziale giustificazione”, non mi convince anche se nasce da una giusta preoccupazione. Io al Papa chiederei almeno perché ha usato quell’immagine tremenda che tradisce una rottura profonda con i soggetti a cui fa riferimento, le donne e i medici che praticano l’aborto.

Tra le donne che si trovano nella condizione di abortire ci possono essere, anzi ci sono, anche tante cattoliche che danno un gran peso alla sua parola: perché evocare una figura così impietosa e ingiusta com’è quella di “mandanti di un assassinio”? In passato la Chiesa aveva avuto parole di perdono verso le donne che avevano abortito (previo pentimento, s’intende!).

E che dire quando poi con sicurezza il papa afferma che tenere un bambino di cui si prevede – tramite l’analisi prenatale – qualche deficit o malattia genetica sarebbe “un dono”, quando è evidente che dono sarà solo se la donna decide liberamente di giocare, nel suo intimo, questa scommessa sulla sua vita futura e su quella del bambino?

E ancora, pensando ai medici-sicari, capisco l’offesa e il risentimento e solidarizzo con la loro protesta.

In qualche caso, sulla stampa, si è avanza l’ipotesi che il linguaggio usato dal Papa, ritenuto in sintonia «con una certa spontaneità popolare sudamericana», sia stato utilizzato «per mettere a tacere l’ala tradizionalista dei cattolici».

È probabile. Si sa che il Papa incontra pesanti ostacoli all’interno della Chiesa e il Nunzio apostolico negli Usa, Carlo Maria Viganò, è arrivato persino a chiederne le dimissioni.

Nonostante ciò trovo inaccettabile che, per questa ragione, si prenda la strada della criminalizzazione delle donne e di chi le assiste medicalmente.

 

(www.libreriadelledonne.it, 18 ottobre 2018)

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