6 Dicembre 2018

Lettera aperta al direttore del Corriere della sera. Sul prodigio californiano delle gemelline nate da due uomini

di Luisa Muraro

 

Da qualche anno, insieme ad altre e altri partecipo alla riflessione sul tema della maternità surrogata, detta anche gravidanza per altri (GPA) o, più polemicamente, utero in affitto. Infatti, c’è bisogno di riflessione e non si può sempre evitare che ci sia polemica. Ma facciamo il possibile perché la qualità dell’informazione sia salva: la richiesta di notizie chiare su questo tema sta crescendo.

La notizia data dal Corriere della sera del 28 novembre, già in prima pagina, con il titolo “Papà gay la battaglia vinta”, a mio giudizio non ha questa caratteristica. Io ritengo anzi che contribuisca a fare confusione e che in ciò il quotidiano abbia mancato a un suo preciso dovere.

In quest’articolo, per cominciare, si parla di procreazione medicalmente assistita (PMA), che è autorizzata e regolata, e non si parla invece mai di GPA, una pratica medica e un commercio che sono esplicitamente vietati dalla legge. Ma è proprio quest’ultima che si trova al centro della questione! Infatti, in che cosa consiste la battaglia vinta dai papà gay? Che il Comune di Milano ora deve fare quello che prima non voleva fare, registrare una nascita resa possibile dal ricorso alla GPA. La cosa viene detta nell’articolo, ma in termini tali per cui il lettore dovrebbe, primo essere già informato della questione di fondo e poi fare un’operazione mentale per concludere: ah, di questo si tratta!

In quest’articolo, inoltre, leggiamo che le gemelline (la cui registrazione anagrafica era stata sospesa), sono nate (in California) da due uomini, testuali parole. La cosa è ovviamente impossibile, ma il Tribunale di Milano, come sappiamo dall’articolo, ha ordinato al Comune di registrarla all’anagrafe. Io ho commentato dentro di me: battaglia vinta contro il buon senso comune e contro la verità scientifica. Purtroppo non è la prima volta che capita.

In quel medesimo articolo, però, troviamo la spiegazione del prodigio californiano. Consiste in una complicata operazione chirurgica su due corpi femminili, fatta per distruggere la relazione materna e ottenere la gestazione e il parto di creature di cui i due uomini possono immaginarsi esclusivi generatori e genitori.

Nell’articolo c’è anche una specie di spiegazione giuridica: il Tribunale di Milano dice di seguire (e impone al Comune di seguire) una sedicente “linea transnazionale” che, in questa materia, paesi come la Francia non seguono.

Lascio a chi mi legge di giudicare dalla lettura dell’articolo che sto contestando. E proprio per questo chiedo al sito della Libreria delle donne di pubblicarlo qui di seguito. Aggiungo un altro particolare di mala informazione. Nell’articolo, in un passaggio cruciale, si parla di “due ovuli donati da una donna anonima”. Qui si sfiora babbo natale: qualche volta capita, ma non si può passarci sopra come se niente fosse, gli ovuli femminili sono merce pregiata (mi scuso per la parola “merce”), e hanno un mercato.

E allora, adesso, le gemelline? Appunto, di loro si tratta alla fin fine. A loro e alle due donne anonime dobbiamo rispondere di quello che facciamo e diciamo.

 

(www.libreriadelledonne.it, 6 dicembre 2018)

 

Pubblichiamo di seguito l’articolo del Corriere della sera del 28 novembre 2018

 

Papà gay, la battaglia vinta

Nate negli Usa. I giudici: Milano trascriva l’atto, è la linea transnazionale

di Luigi Ferrarella

Per «contrarietà all’ordine pubblico» il Comune di Milano rifiuta la trascrizione di due gemelle nate negli Stati Uniti da due uomini, ma il Tribunale ordina di farlo alla luce «dei principi fondamentali comuni ai diversi ordinamenti».

Cosa è «contrario all’ordine pubblico»? In cosa consiste questo unico limite alla trascrizione o meno in Italia degli atti di nascita di bambini nati da persone dello stesso sesso in Paesi che ammettono forme di procreazione medicalmente assistita non contemplate in Italia dal legislatore? Sinora era un «limite di sbarramento alla circolazione in Italia di istituti giuridici stranieri». Ma ora l’ottava sezione civile del Tribunale di Milano sposa una lettura più transnazionale, parametrata sui «principi fondamentali» basati «su esigenze di tutela dei diritti dell’uomo e comuni ai diversi ordinamenti, nonché collocati a un livello superiore alla legislazione ordinaria». E su questa base ordina al Comune di Milano di fare ciò che come ufficiale di Stato civile aveva rifiutato: trascrivere l’atto di nascita di due gemelle nate meno di un anno fa in California da due uomini italiani ricorsi alla fecondazione di due ovuli donati da una donna anonima, e poi all’impianto e alla gestazione nell’utero di un’altra donna con la quale si erano accordati in base al diritto di famiglia californiano.

La coppia, insieme da 10 anni e unitasi civilmente in un Comune lombardo, aveva scelto gli Usa per la fecondazione di due ovuli, uno contenente il 50% del patrimonio genetico di uno dei due uomini e il 50% della donatrice anonima dell’ovulo, e l’altro contenente il 50% del patrimonio genetico dell’altro uomo e il 50% della donatrice.

Con l’impianto in un’altra donna gestante, nel 2017 nascono due gemelle: i genitori, che non avevano voluto sapere (tramite test) quale fosse biologicamente figlia dell’uno o dell’altro, al rientro in Italia chiedono al Comune di Milano la trascrizione dell’atto di nascita delle bimbe cittadine statunitensi, firmato in California con l’indicazione dei due uomini come genitori e senza menzione della gestante. Il Comune motiva però il rigetto con la necessità di attendere (tra pochi mesi) le Sezioni Unite della Cassazione proprio sulla nozione di «contrarietà all’ordine pubblico» in un caso simile.

Ma ora il Tribunale (relatore Enrica Manfredini, a latere Paola Corbetta e Maria Rita Cordova) da «una sorta di giudizio “preventivo e virtuale”» di compatibilità con la Costituzione desume che il fatto che i due uomini vengano «riconosciuti genitori delle piccole, nonostante abbiano ciascuno un legame biologico con una soltanto delle minori, non può ritenersi lesivo di principi superiori», visto che il quadro normativo e giurisprudenziale «internazionale, comunitario e interno tende a valorizzare sempre meno questo legame, in favore di altri aspetti della maternità/paternità correlati al consenso, alla volontarietà e all’assunzione della responsabilità genitoriale». In Italia il legislatore non ha previsto la stepchild adoption, ma per il Tribunale ciò non fa ritenere la genitorialità dello stesso sesso «contraria all’“ordine pubblico”, dal momento che non solo all’estero essa è pacificamente prevista e tutelata, ma anche in Italia ha ormai trovato riconoscimenti in recenti pronunce giurisprudenziali sulla base dell’interesse del minore», tra l’altro «non esistendo dati scientifici che attestino la rilevanza dell’orientamento sessuale dei genitori sul benessere dei figli».

(Corriere della sera, 28 novembre 2018)

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