15 Febbraio 2024

Un mondo di relazioni

di Umberto Varischio


Non ci sono cose che hanno esistenza in sé, indipendentemente da altro. Consideriamo un oggetto come il tavolo che vediamo di fronte a noi. È innegabile che esista concretamente come oggetto con caratteristiche fisiche evidenti come colore e durezza. Tuttavia, cosa lo fa considerare un oggetto, un’entità reale, un tavolo? La nozione di tavolo si basa sulla sua funzione: è un mobile progettato per essere utilizzato come tavolo. Questa definizione presuppone l’esistenza dell’umanità che ha il bisogno di appoggiare oggetti o per mangiarci sopra. Ciò non riguarda intrinsecamente il tavolo in sé, ma piuttosto il modo in cui lo percepiamo e lo utilizziamo. Se cercassimo il tavolo in sé, privo di relazioni con l’esterno e soprattutto con noi stessi, scopriremmo che non esiste come entità isolata.

Il mondo non è suddiviso in entità indipendenti. Una catena montuosa non è intrinsecamente divisa in singole montagne: siamo noi che la separiamo in parti che colpiscono la nostra percezione. Praticamente quasi tutte le nostre definizioni sono relazionali: una madre esiste in quanto vi è un figlio, un pianeta è tale perché orbita attorno a una stella, una posizione ha significato in relazione a qualcos’altro.

Quella che ho cercato di illustrare sinora è la tesi di Nāgārjuna, un filosofo buddhista vissuto tra il secondo e il terzo secolo dopo Cristo in India e considerato uno dei primi e principali pensatori originali del Mahāyāna o “Grande veicolo”, nella rielaborazione del fisico teorico Carlo Rovelli nel suo saggio divulgativo sulla fisica quantistica intitolato Helgoland.

Per tornare alle relazioni, l’aspetto che più mi interessa, il femminismo in generale si basa sulla presa di coscienza personale e sulla relazione. La relazione inizia con il rapporto con sé stesse e si sviluppa ulteriormente nella relazione con il mondo circostante; possiamo orientarci se guardiamo dentro di noi e se costruiamo e manteniamo relazioni con il mondo.

Certo, le relazioni sociali sono ben più complesse di quelle che si possono stabilire nel puro spazio fisico, ma si può ipotizzare che, come scrive Maria Luisa Boccia, la rivoluzione del simbolico rappresentata dal femminismo della differenza e le relazioni abbiano la propria matrice in un “materialismo ontologico” che si occupa dei corpi, della materialità dell’esistenza.

Nella mia adolescenza sono stato educato a pensare, come quasi tutti quelli della mia generazione, che riconoscere i miei bisogni individuali volesse dire riconoscere una propria debolezza e che la dipendenza da altri e altre fosse una minaccia alla mia mascolinità. I miei sentimenti di bisogno e di dipendenza sono stati spesso svalutati e mi si insegnava a vivere autonomo, senza aver bisogno che di poche relazioni significative.

Per un uomo che ha avuto questo apprendistato patriarcale, abituato a vedersi come un’isola e a non sapere che «le isole si tengono per mano sotto il mare» (King Crimson, Island), è suggestivo pensare che la materialità dell’esistenza, che è anche il luogo della politica e del vivere insieme, sia ontologicamente basata principalmente sulle relazioni e sull’interdipendenza.


(www.libreriadelledonne.it, 15 febbraio 2024)

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