14 Settembre 2022

Una donna “maschilista” e un premier “femminista”?

di Umberto Varischio


«Il tema di fondo è quello di una donna premier che porta avanti politiche maschiliste. Giorgia Meloni e il suo partito hanno portato sempre avanti politiche maschiliste. Allora è molto meglio un uomo premier che porta avanti politiche femministe».

Da diversi anni le campagne elettorali ci hanno abituato a dichiarazioni di ogni genere, non escluse quelle maschili di stampo sessista, ma questa non si era ancora sentita!

Una dichiarazione – da parte del segretario del partito principale dello schieramento che si definisce progressista e rivolta alla presidente del probabile maggior partito della destra, possibile candidata al ruolo di presidente del consiglio – che per ora non ha suscitato molta attenzione e, salvo che dalla destra stessa, quasi nessuna reazione. Mi sembra, da uomo, che qualche considerazione andrebbe fatta per non derubricarla a una sciocchezza di poco conto.

Come uomo che da almeno quarantacinque anni si confronta con i femminismi, e in particolare con quello della differenza, un confronto scelto, ma che è stato fonte di momenti alterni di gioia e sofferenza, felicità e rabbia, senso di liberazione e fatica, consapevolezza e confusione, ritengo che tale affermazione racconti molto della situazione in cui si trova oggi, se non nella società almeno in ambito politico, il rapporto uomo-donna nel nostro paese.

Se almeno una cosa mi ha insegnato il rapporto – certo conflittuale, ma fondamentale per la mia vita di ieri e di oggi – con il femminismo e con alcune donne che ne fanno parte, è che un uomo non può essere femminista. E non può portare avanti “politiche femministe” a meno che non abbia forti relazioni politiche con donne di questo vasto e complesso mondo, relazioni che comprendano un riconoscimento dell’autorità e della libertà femminile. Nel vuoto evidente di relazioni di questo tipo in cui si muove l’uomo in questione, proporsi come possibile premier (maschio) che può affrontare i problemi, vuol dire reiterare il pensiero neppure tanto sotterraneo che per certi ruoli decisionali sono meglio gli uomini. Questa sì è una posizione “maschilista”: è una negazione, oltre che di tante parole che vorrebbero dire il contrario, di una pratica attiva di accettazione della differenza femminile. È una conferma che «il problema, per il femminismo radicale, non è mai stato e non può essere quello di espugnare o di spartire i vertici della politica maschile, ma di cambiarla» (I. Dominijanni).


(www.libreriadelledonne.it, 14 settembre 2022)

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