19 Maggio 2022

Un’altra resistenza

di Antonella Nappi e Giovanna Cifoletti


Noi che ragioniamo di femminismo e di salute nell’associazione Difendiamo la salute, abbiamo pensato dal primo giorno della guerra in Ucraina che quel governo dovesse arrendersi a un cessate il fuoco con l’invasore russo. Ciò si imponeva data la disparità delle forze, le sofferenze e i lutti, e la certezza da parte nostra di non volere partecipare a una guerra per nessuna ragione.

Siamo convinte che le ragioni di chi confligge possono essere comprese da chi non è accecato dall’odio, né dalla necessità di combattere per mettere in salvo il suo corpo. La popolazione che fugge dalla guerra è la stessa che vuole si trovi un accordo; deve essere aiutata a farlo: perché le guerre servono i ricchi e distruggono la possibilità di vivere dei poveri. Ci vogliono mediatori che non introducano altri interessi ma soltanto quelli di salvare le vite, gli affetti, i beni già posseduti: le case, le città; e quella di non aggravare con le armi le condizioni ambientali.

Chi aggredisce deve essere ascoltato, indotto a parlare; si può trovare un compromesso tra i governi in lotta, se sospinti dai popoli e da governi che volessero essere davvero neutrali, questo perché i ragionamenti sulle necessità economiche e politiche hanno riferimenti compatibili per tutto il mondo. Sono i dirigenti generalmente a privilegiare il loro proprio pensiero, le relazioni tra loro, i principi astratti o le strategie guerresche, quando possono agire senza essere controllati dai loro popoli.

Forse perché i governi sono sempre stati maschili e siamo abituate a sopportare mille oppressioni per sopravvivere, ma anche a cercare di migliorare la nostra posizione con i mezzi che individuiamo personalmente, generalmente noi donne davanti alle armi pensiamo si debba salvare la vita. La politica delle donne inoltre ha insegnato a disertare quella maschile per creare tra noi pratiche nuove e consapevolezze che anche gli uomini possono esercitare. La resistenza che conosciamo è quella di trovare la nostra voce e farla sentire: dal gruppo degli amici alla famiglia, dai luoghi del lavoro alle istituzioni, al governo; la strada percorribile è per noi la nostra sussistenza e poi quella delle progressive libertà in relazioni civili.

La guerra civile tra antirussi e filorussi martoriava da anni i corpi degli ucraini, molte ucraine ce lo hanno testimoniato. Difficile vivere a fianco di due influenze opposte provenendo da quella russa e contemporaneamente ubriacati, come gli occidentali, dall’immagine del consumo, dalle immagini di libertà di parola e di associazione e d’impresa; senza sapere però, come in Italia sappiamo, che non contano niente in termini di potere e che quest’ultima crea anche enormi difficoltà e fallimenti.

Così anche le elezioni: senza informazione colta e veritiera, senza partecipazione politica totalmente aperta all’eleggibilità, senza controllo popolare sull’organizzazione al voto, esse sono oggi una delega al potere assoluto. La democrazia occidentale serve i ricchi, è un paravento dietro al quale tutto è indirizzato alla creazione di grossi capitali. E la guerra non fa che aumentare tale mancanza di democrazia.

In ogni governo si nasconde una dittatura possibile, il furto dei beni pubblici e le tangenti che affliggono ogni popolo vanno combattuti con armi civili all’interno del proprio paese, è questa la resistenza pacifica, la conflittualità da ragionare e controllare che ciascuno offre alla pace di tutti i popoli. La propaganda occidentale al consumo, irresponsabile degli inquinanti che produce, è un inganno che va mostrato.

Anche per l’Europa e non solo per la Russia, una zona indipendente da entrambe le influenze sarebbe utile: governi indipendenti lungo i confini della Russia andrebbero preservati e sostenuti congiuntamente da queste. Includere in Europa o nella Nato quegli Stati che lo hanno chiesto, come è successo, solleva oggi molti commenti negativi se non viene concordato proprio con la Russia.

La guerra è stata preparata con consapevolezza da anni, da più soggetti politici, nell’evidenza che le pressioni sulla Russia erano per questa difficili da sopportare: era presente una guerra fredda tra più stati di cui nessuno ha voluto tenere conto e ora che i fatti sono divenuti espliciti e gravissimi bisogna creare un’ampia ragionevole contrattazione tenendo conto anche del pensiero politico creato dalle donne: questo privilegia, data la loro esperienza, le possibilità di sopravvivere rispetto ai principi.

La popolazione europea che ha goduto la pace per settantacinque anni non sopporta neppure l’idea della guerra. Questa guerra del resto non è legittimata rispetto alle leggi e ai trattati esistenti. I giovani di Fridays for future chiedevano pace in piazza il 26 marzo e concordavano con il nostro cartello che diceva: «Arrendetevi, solo diplomazia». È l’unica soluzione per non morire in Ucraina e per non rischiare una guerra mondiale. Anche le manifestazioni del 25 aprile in Italia l’hanno preteso. I governanti invece, specie quelli italiani, sono molto combattivi per una virilità retoricamente intesa; ricordano con affetto le contrapposizioni politiche del passato invece di partecipare alla resistenza nell’oggi: quella che domanda di affrontare le problematiche ambientali e quelle sociali che sono le stesse per tutto il mondo. Vivono nella logica del servilismo atlantico e valorizzano le relazioni di potere.

Il governo italiano ha compreso di recente, solo tramite i sondaggi, che la maggioranza degli italiani non vuole più inviare armi e vuole ritirare ogni sanzione perché le considera guerra alla Russia, all’Europa e al mondo intero. Di conseguenza ha deciso che gli italiani devono cambiare opinione: ha diffuso direttive di censura ai media e chiesto interventi conseguenti a chi più è in vista. Fin da marzo il governo si era fatto delegare, da un parlamento unanime, le direttive sugli invii di armi e la scelta riguardo le sanzioni fino al 31 dicembre. Questa è la nostra inesistente democrazia: non vuole sfigurare nelle relazioni internazionali, non vuole mostrare alcun amore per il proprio paese; questo è il rigore maschilista che ha sempre delegato alle femmine la cura dei corpi e della vita, sbeffeggiandole politicamente. Vuole anche nascondere quanti sbagli ha fatto nel disinteressarsi delle tensioni e mire degli Stati con cui si allinea. Le basi militari che permettiamo agli americani, inutili per noi e dannose perché ci hanno coinvolto in molte guerre di aggressione, divengono per il governo un vanto quando l’alleato le mette in funzione.

Vorremmo impedire che il pianeta subisca nuovi inquinamenti con l’attività militare e vengano affamati moltissimi popoli: quelli già martoriati da altre guerre. Impedire il ritrattare delle scelte già prese in favore dell’ambiente e della salute dei cittadini: come riarmarsi e riutilizzare il carbone; sconvolgere gli approvvigionamenti già decisi, già pagati dal lavoro umano e dai territori. Vorremmo impedire soprattutto l’arretramento democratico della prassi politica in atto nel nostro paese, in Europa e nel mondo.

Dovrebbero invece tutti gli Stati, come scrivono i Disarmisti esigenti in partenariato con la WILPF (Women’s International League for Peace and Freedom), occuparsi di quella guerra mossa dal pianeta contro di noi: abbiamo disturbato i suoi equilibri ambientali e dobbiamo ripristinarli. I pacifisti italiani che a Comiso hanno lottato contro le basi militari americane e poi sono diventati maggioranza lottando contro il nucleare, indicano la nuova resistenza: è restare responsabili di sé e delle esigenze degli altri, di quelle della natura soprattutto che è l’autorità che a buon diritto ci comanda.

La storia delle donne ha dimostrato che esse hanno subito tutti i tipi di governo a partire da quello famigliare, sono state tolleranti rispetto alle molte diverse oppressioni per cercare però la sopravvivenza: dove e come la vedevano, e molte di loro se lo dicevano con chiarezza. Scappavano: in compagnia soltanto di se stesse, quando potevano farlo; si avventuravano in nuove relazioni e nuovi contesti ovunque vedessero un poco di libertà e una migliore indipendenza. In Italia le contadine del nord sono andate in Francia a lavorare in fabbrica a tredici anni, la notte studiavano la lingua. L’andare in città a prestare servizio l’hanno fatto generazioni di bambine e ragazze e donne che lasciavano ad altre i figli. Le prime a emigrare in Italia dai paesi più poveri dagli anni ’60 sono state donne, solo recentemente assistiamo al giungere degli uomini. Un governo vale l’altro si arriva a pensare, dal momento che ci si deve sempre attivare per allargare le libertà di pensiero, di lavoro, di salute a livello personale e collettivo, e ciò è possibile in pace.

La capacità di sostenersi delle donne è divenuta sempre più capacità di dirsi in politica e di dirsi differenti da quanto il potere pretende da loro. Anche gli uomini cominciano a dirsi differenti tra loro; molti sanno ormai che la forza è quella di resistere ai propri impulsi aggressivi, ai condizionamenti che non condividono, quella di argomentare i propri sentimenti e desideri.


(www.libreriadelledonne.it, 19 maggio 2022)

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