26 Giugno 2020

Uomini che si mettono in discussione o no?

di Silvia Baratella


Leggo su Internazionale on line l’approfondito reportage di Adil Mauro dell’8/6/2020, «Uomini che si mettono in discussione», che parla dell’associazione Maschile Plurale, nata da un gruppo di uomini con l’intento di contrastare la violenza contro le donne e sono in relazione con il femminismo.

Trovo questo passaggio:


«Uno degli aspetti più discussi dentro Maschile plurale è la relazione con i vari femminismi e le loro istanze. “Un tema che, in particolare, ha creato divisioni tra noi è quello del rapporto con la violenza”, ammette Ciccone. “In un paio di situazioni uomini che facevano parte della rete sono stati accusati dalle proprie compagne di aver avuto comportamenti psicologicamente violenti e una parte del femminismo ha colto l’occasione per esprimere il fastidio e la diffidenza verso il movimento maschile, sostenendo che non ci sono uomini affidabili e buoni, e che dietro gli uomini c’è sempre una fregatura”.»


Ecco, Stefano Ciccone la fa facile, ci sono critiche più impegnative e credo che valga la pena di condividerle. Io sono una delle femministe che hanno creduto nella scommessa di Maschile Plurale. Non ho mai cercato “uomini buoni”, ma un cambio di civiltà nelle relazioni fra uomini e donne sì.

Nel 2014 avvenne uno di quegli episodi. Una donna denunciò sui social il comportamento del suo ex-compagno, uno che era nella rete di Maschile Plurale. L’associazione negò il fatto, parlò di attacco politico, di “vendicatività” e “fragilità” di lei, e si appellò al noto argomento “è la tua parola contro quella di lui”. Insomma, hanno fatto quello che gli uomini di solito fanno con le donne, negare credibilità alle loro parole e giudicarle. Però loro non erano i “soliti” uomini…

La mia critica non è che tra di loro ci fosse un “cattivo”, ma di aver agito (quasi) tutti al solito modo maschile. Perché? Molti di loro avevano un profondo legame di amicizia con il denunciato. Si fidavano di lui e non di lei. È umano. Ma avrebbero potuto dirlo onestamente: spiacenti, abbiamo scoperto che non riusciamo a credere a te perché il nostro amico è lui. Era una difficoltà soggettiva che loro, dopo tanti anni di lavoro sulla presa di coscienza, avrebbero potuto riconoscere senza attaccare lei. Invece l’hanno fatto, e ora lamentano il fastidio e la diffidenza che hanno suscitato. Ma non possono cavarsela così: sta a loro cambiare strada. Possono farlo, ne sono sicura.


Milano, 14 giugno 2020


(www.libreriadelledonne.it, 26 giugno 2020)

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