28 Giugno 2016
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Così il movimento delle donne curde sta cambiando la politica in Turchia

di Viviana Mazza



Molti danno per scontato che la 45enne Figen Yüksekdağ sia curda. Ma non è così. Turca, sunnita, insieme al curdo Selahattin Demirtaş è la co-presidente dell’Hdp (partito democratico dei popoli), il terzo per numero di deputati nel parlamento di Ankara. L’Hdp, che aspira a rappresentare anche altri gruppi (il movimento operaio, quello femminista, le minoranze religiose come gli aleviti), è comunque più che altro noto come il partito dei curdi. Sono riusciti a impedire che l’Akp del presidente Erdoğan ottenesse la maggioranza assoluta alle elezioni nel giugno 2015, ma Erdoğan è riuscito un mese fa a strappare ai deputati dell’Hdp l’immunità parlamentare. Il presidente turco vuole vedere Yüksekdağ e i suoi colleghi dell’opposizione filo-curda incriminati per presunti legami coi gruppi militanti.

Ed è per questo che è venuta, per la prima volta, in Italia. Negli incontri al centro per le arti MACAO di Milano e poi in Parlamento a Roma, nei due giorni scorsi, ha tentato di dare visibilità alla lotta dei curdi contro l’Isis ma anche contro Erdoğan. «Per la Turchia questo è un momento particolarmente difficile, la repressione è ferocissima – ha detto al Corriere -. Facciamo appello a tutti, all’Italia e all’Europa, a prendere posizione perché, se tutto ciò sta avvenendo, è possibile anche grazie al supporto che date a questo regime dittatoriale. L’Europa fa finta di non vedere quel che sta succedendo in Turchia purché quest’ultima non faccia passare i migranti: è un accordo sporco e tutti gli Stati europei sanno che è così. Nei giorni in cui questo accordo veniva firmato, 150 persone sono state arse vive negli scantinati della città di Cizre. Sono decine le città nel sudest della Turchia che sono state rase al suolo. Questa complicità tra Turchia ed Europa non verrà dimenticata dal popolo curdo».

E poi c’è un’altra cosa che, secondo Yüksekdağ, le donne europee possono imparare dall’Hdp: il criterio della co-rappresentanza di uomini e donne. Nell’immaginario occidentale, infatti, «la donna curda è soprattutto una guerrigliera – riflette la co-presidente dell’Hdp – e il ruolo delle armi ha una sua importanza. Ma la dimensione politica è sicuramente quella più rilevante, perché fa davvero vacillare tutti gli equilibri del patriarcato».

«La rivoluzione della donna curda è in corso da una trentina di anni, solo che le persone in Europa l’hanno notato solo dopo Kobane e Rojava – continua -. Per trent’anni, semplici contadine hanno abbandonato la propria casa, imbracciato le armi e sono andate a combattere. Oggi l’operazione guidata dalle Forze democratiche siriane per liberare Raqqa, che è composta da curdi ma anche arabi, turkmeni e altre minoranze, è guidata da una donna comandante (Rojda Felat, ndr). Questo è molto importante, perché le vittime principali di Isis sono state le donne, vendute e costrette alla schiavitù, quindi il messaggio che si vuole dare oggi è che le donne non si sottometteranno, e nel buio in cui è avvolto il Medio Oriente, l’unico spiraglio di luce è la rivoluzione della donna curda».

Ma l’aspetto più importante è quello politico: «A tutti i livelli nel movimento di liberazione curdo si esprime il criterio della co-rappresentanza maschile e femminile, e questo può essere preso come esempio dalle donne di tutto il mondo, anche da quelle europee. Inoltre, un punto che non trova spazio nel racconto dei media è che le donne al fronte, in Rojava e Sinjar, non sono solo donne in armi ma anche donne impegnate nella ricostruzione e riedificazione della società, non sono solo lì a sparare ma a svolgere ruoli a livello sociale. Peraltro, l’Hdp è una forza tutta politica, l’aspetto militare per noi non è quello più significativo ma è la dimensione politica di questa lotta di emancipazione che ha un enorme livello di visibilità in Turchia. La co-rappresentanza in Turchia equivale alla violazione di un tabù, il fatto che una donna come me abbia la possibilità di misurarsi da pari e di criticare su tutti i media un uomo come Erdoğan è un dato che semplicemente uomini come lui non sopportano, è una cosa intollerabile, fisicamente insostenibile».

Una rivoluzione che passa dal parlamento: «Il successo elettorale che abbiamo ottenuto del 7 giugno 2015 con il primo ingresso in parlamento ha equivalso a conferire all’Hdp una rappresentanza che, su 80 deputati, era composta da 35 donne, una cosa senza precedenti nella storia della Turchia, perché nel parlamento la presenza femminile si attestava intorno al 7%. Il risultato dell’Hdp è stato un terremoto. Al di là degli equilibri geopolitici, questo elemento di genere ha scatenato il panico nell’intero parlamento».

Anche l’Akp ha un numero consistente di donne, e la figlia di Erdoğan, Sümeyye, ha una grande visibilità. Yüksekdağ, però, pur riconoscendo che «gran parte del successo dell’Akp è dovuto anche all’impegno delle donne, che costituiscono il 10% dei membri», afferma che «quelle stesse donne non potete vederle in vetrina, viene dato loro solo un ministero, che è quello della famiglia. Non sono donne impegnate per altre donne ma utilizzate dal partito come strumento di un potere nemico delle donne e profondamente misogino».


(www.27esimaora.corriere.it, 28 giugno 2016)

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